Di lavoro si vive, non si muore. O almeno, così dovrebbe essere. Invece anche Reggio Emilia spesso si è macchiata del sangue dei nostri lavoratori; tanto che nell’ultimo anno gli infortuni mortali sono aumentati.
Dopo che domenica al Tecnopolo si è celebrata la 74ª giornata nazionale per le vittime sul lavoro – alla presenza delle autorità civili e militari della città –, che è stata un’occasione soprattutto per sensibilizzare le forze politiche su un tema che non riceve ancora la giusta considerazione, abbiamo analizzato il fenomeno infortunistico in provincia con la presidente della sede territoriale Anmil, Manuela Rosaria Praticò.
Praticò, come commenta i dati?
"Dai numeri Inail risulta che nell’ultimo quinquennio la situazione sia lievemente migliorata. I dati però non sono così rassicuranti: gli infortuni sul lavoro denunciati sono solo lievemente diminuiti; sono aumentati gli infortuni mortali e anche per le malattie professionali si osserva un incremento del 7,7 percento. Reggio è la terza provincia per incidenza di infortuni sul lavoro in regione. Ci dicono che le aziende sono ben strutturate e non in tutte manca la sicurezza, le protezioni personali o le istruzioni, ma evidentemente sono ancora poche quelle a norma poiché le lacune sono lampanti".
In quale settore si registra il maggior numero di infortuni?
"L’edilizia, l’agricoltura e la metalmeccanica. Ma i primi due sono i settori dove si verificano maggiormente gli incidenti, catalogare i tipi è difficile perché i numeri sono elevati. Negli ultimi giorni si sono verificati due infortuni, uno di questi proprio durante la cerimonia: a Gualtieri un agricoltore di 66 anni ha avuto un incidente con il proprio mezzo agricolo. È assurdo commemorare le vittime del lavoro e ritrovarsi a fare i conti con l’ennesimo infortunio".
Secondo lei cosa manca in queste aziende?
"Penso che l’infortunio non sia mai un caso. L’incidente si verifica quando manca la formazione, che all’interno delle aziende dovrebbe essere sicuramente più strutturata".
Qual è invece la malattia professionale più diffusa a Reggio?
"In questo momento è in notevole aumento il mesotelioma. È una malattia latente, che non si sviluppa nell’immediato ma dopo anni. E spesso colpisce non solo gli operai ma anche le mogli, che hanno lavato le divise di lavoro, inalando le fibre di amianto".
A livello provinciale l’associazione Anmil cosa può fare?
"Stiamo cercando di entrare nelle aziende e nelle scuole. Ora attendiamo l’approvazione definitiva del disegno di legge che consentirà di inserire negli istituti l’insegnamento del diritto e della sicurezza sul lavoro, anche attraverso le testimonianze degli infortunati. A Reggio, per esempio, abbiamo instaurato una collaborazione con la scuola edile: una volta al mese portiamo le testimonianze di coloro che hanno vissuto un infortunio sul lavoro. Non è plausibile essere nel 2024 e morire andando a fare il proprio dovere. Io, per fortuna, dopo cinquantadue giorni sono tornata a casa, anche se con una gamba amputata".
Dove lavorava?
"Era il 2013 e lavoravo a Borzano di Albinea, per una ditta olandese addetta al riciclaggio della plastica. Ero un’impiegata amministrativa e sono stata asfaltata da un muletto di 900 chili. Quella mattina la mia giornata di lavoro era stata uguale a tante altre. Essendo addetta alla logistica frequentavo, quando serviva, anche il magazzino; peccato che l’azienda per quanto riguarda la sicurezza dei dipendenti non fosse abbastanza strutturata: nel deposito mancavano le strisce pedonali, non c’erano le barriere di sicurezza davanti agli uffici e per recarsi da uno studio all’altro o andare in sala mensa bisognava attraversare il magazzino. Io mi stavo informando per cercare di risolvere qualche problema, tanto che la settimana prima dell’incidente avevamo svolto un corso di prevenzione e sicurezza sul lavoro. Durante l’incontro il formatore ci disse tali parole: ’A voi impiegate il massimo che può succedere è di ricevere un righello sul piede’. Le ricordo bene quelle parole. Dopo una settimana i miei piedi sono stati schiacciati dal muletto".
Cos’era successo?
Avevo ricevuto la chiamata da un fornitore ed ero uscita dall’ufficio per chiedere a un collega l’informazione dalla soglia della porta. Non avendo avuto più riscontro e non volendo far attendere la persona al telefono, sono andata in magazzino. Ho guardato attentamente dove fosse il muletto, ricordo che stava caricando materiale nel deposito esterno. L’operaio alla guida però non aveva attivo il cicalino di retromarcia e, nonostante la legge sulla sicurezza dice che un muletto carico deve procedere a marcia indietro, guidava in avanti con le forche alzate e tre metri di carico che ostruiva la visuale. Ero voltata di spalle: non l’ho né sentito, né visto arrivare, ma nemmeno lui. In un attimo mi sono ritrovata sotto le gomme del muletto".
Ha perso la gamba durante l’incidente?
"No. Dopo un mese, quando l’arto è andata in cancrena e ho dovuto firmare per l’amputazione. Per avere giustizia, se così si può chiamare, ho atteso 8 anni e 13 udienze. L’azienda è stata condannata penalmente, condannata anche dall’ Ausl a pagare numerose multe. Questo per dire che le ditte farebbero meglio a investire i propri soldi nella sicurezza dei dipendenti, piuttosto che risarcire infortuni gravi, che non sono convenienti né sul piano professionale e né su quello economico".
Ylenia Rocco