
Mescolini riabilitato. Qual è il suo futuro?. Potrebbe tornare ’capo’ ma non più a Reggio
Quale sarà il futuro dell’ex procuratore capo di Reggio Marco Mescolini, dopo la riabilitazione della sua figura emersa dalla sentenza del Consiglio di Stato? Il tribunale amministrativo di secondo grado ha accolto il suo ricorso al Tar del Lazio, senza ottenerlo, per l’annullamento della delibera emessa il 24 febbraio 2021 dal Csm. L’organo di autogoverno della magistratura ne dispose il trasferimento al di fuori del distretto giudiziario di Bologna per incompatibilità ambientale, causata dal clamore suscitato dal suo scambio di chat con l’ex magistrato Luca Palamara e dall’esposto al Csm di quattro pm reggiane. Ora il Consiglio di Stato ha annullato i provvedimenti decisi dal Csm: "Emerge l’incompletezza del quadro istruttorio su cui si è basato il trasferimento". Dal marzo 2021 lui è passato dal ruolo di procuratore capo a Reggio a quello di pubblico ministero a Firenze, dove si trova tuttora. In teoria la partita potrebbe essere ancora aperta. Il Csm potrebbe ricorrere alla Cassazione ravvisando nella sentenza del Consiglio di Stato una violazione di legge. Oppure promuovere un’istruttoria per raccogliere gli elementi che al tempo non erano stati vagliati. Secondo il Csm, "si ingenerò il dubbio che la direzione delle sue indagini avvenisse in base a personali convincimenti politici". Ma secondo il Consiglio di Stato si è trascurato ("lacuna grave") di chiedere il parere della polizia giudiziaria e delle forze dell’ordine. Il Consiglio di Stato ha usato parole dure contro il Csm, parlando di "vulnus non giustificato e sproporzionato" creato a Mescolini, "al di fuori delle garanzie anche costituzionali che fondano indipendenza e autonomia della magistratura". Sulla carta il procedimento potrebbe anche continuare, ma occorrerà vedere se qualcuno darà ancora battaglia, ormai a tre anni dalla delibera annullata, con assetti politici cambiati e anche una mutata composizione dei membri del Csm rispetto ad allora. Mescolini non punta a tornare nella nostra città, dove si è verificata la vicenda che ha turbato il suo percorso ed è esploso un caso politico. Dopo un periodo di reggenza parte del pm Isabella Chiesi - una delle quattro firmatarie dell’esposto insieme a Maria Rita Pantani, Valentina Salvi e Giulia Stignani - ora la Procura è guidata da Calogero Gaetano Paci, che si insediò legittimamente per colmare il vuoto. Ma, come fece in passato per Reggio, Mescolini potrebbe proporsi di nuovo, alla luce dei suoi titoli, per guidare Procure di altre città, quando si apriranno posti, confrontandosi con altri candidati e recuperando il ruolo professionale di vertice che aveva perso. Se per il Csm, e il Tar che approvò, "era emersa una figura di un magistrato che aveva a cuore le sorti degli esponenti locali del Pd", il Consiglio di Stato sostiene invece che non vi siano elementi per sostenere la parzialità politica nel suo lavoro e neppure a favore del sindaco Luca Vecchi nell’inchiesta sui presunti bandi pilotati del Comune. Potrebbe anche chiedere i danni, ma andrebbe dimostrata una colpa grave. C’è solo un punto su cui il Consiglio di Stato non concorda con Mescolini: definisce infatti "approfondita" l’istruttoria fatta dal Csm sui disagi avvertiti in Procura dai magistrati. "Dopo aver sentito le quattro pm che sottoscrissero l’esposto, il Csm ascoltò anche i due che non lo firmarono e che mantenevano un rapporto di stima con Mescolini", cioè i pm Giacomo Forte e Marco Marano, "ma emersero elementi di conferma". Forte disse che Mescolini "non diede chiarimenti generali ai colleghi sulla vicenda Palamara, ma solo personali". Marano raccontò di avergli suggerito di indire una conferenza stampa per difendere la Procura, ma lui non accolse l’idea. Per il Consiglio di Stato "emerse la tendenza a ridimensionare la reale natura dei suoi contatti con Palamara, negandoli e cercando di sminuirli a costo di compromettere i rapporti in ufficio".