ALESSANDRA CODELUPPI
Cronaca

Maltrattamenti e violenza: consigliere comunale accusato dall’ex amante

La procura ha chiesto due anni e quattro mesi di reclusione. La parte civile: “Questi comportamenti stanno alla base dei femminicidi”. La difesa: “Non ci sono riscontri ai racconti di lei”

Il giudice Francesca Piergallini

Il giudice Francesca Piergallini

Reggio Emilia, 21 dicembre 2024 – Maltrattamenti in famiglia e tentata violenza privata. Sono i reati dei quali deve rispondere un consigliere comunale di un paese della provincia di Reggio ora a processo con rito ordinario, a seguito della richiesta del pubblico ministero Maria Rita Pantani di rinvio a giudizio.

Al centro le presunte vessazioni commesse verso una donna con cui l’uomo, sposato, ebbe una relazione extraconiugale. La donna si è costituita parte civile affidandosi all’avvocato Nino Giordano Ruffini. Davanti al giudice Francesca Piergallini, ieri la procura ha domandato una condanna a 2 anni e 4 mesi con le attenuanti generiche, al cui riconoscimento l’avvocato Ruffini si è opposto (“non vedo i presupposti”).

L’imputato, difeso dagli avvocati Gianluca Vinci e Daniele Erbanni, non era presente, mentre c’era la donna. I legali negano ogni accusa.

La pubblica accusa ha ripercorso la vicenda, avvenuta tra fine 2019, quando ebbero una storia, e l’aprile 2021, quando lei lo denunciò, soffermandosi su un episodio del 5 novembre 2020. “La donna ha detto che hanno convissuto, che i primi mesi era tutto perfetto ma poi le cose sono peggiorate. Quando lei cercava di calmare gli animi, lui la offendeva. Ogni volta che cercava di lasciarlo, l’uomo si arrabbiava o minacciava il suicidio. Lei ha detto che una volta lui le raccontò che andò in bagno, finse di stare male e fu trovata candeggina. Lui disse di averla bevuta, ma in realtà ciò non era accaduto, e anche lui poi lo riferì. Il mattino dopo l’uomo disse che era stato male, ma lei non gli credette: il fatto che lei fosse indifferente gli fece perdere la testa. L’uomo entrò a casa, la spinse dalla porta e le lanciò tutto ciò che trovava. Lei cercò di prendere il telefono per chiamare i carabinieri, iniziò una lotta e lei riuscì solo a mandare un messaggio al suo datore di lavoro se veniva a prenderla. Poi lui prese un coltello da cucina, il più grosso, e glielo mostrò avvicinandosi a lei. Non la ferì, ma poi si avvicinò alla macchina della donna e accoltellò la gomma, bucandola. La donna – conclude il pm – pensò che lui l’avrebbe ammazzata”.

Sarebbe stato solo l’inizio: “Lui la prese per i capelli, la portò in bagno e la chiuse dentro. Lei, terrorizzata, scappò dalla finestra del bagno cominciando a scappare. Sulla strada cercò di avvicinarsi con l’auto, ma lei si ritrovò finalmente il datore di lavoro che era venuta a prenderla e salì con lui. Ma l’imputato inizialmente impedì al titolare di guidare, poi lo lasciò andare e comunque lo inseguì”.

Il pm cita un altro episodio: “Tornarono a vivere insieme, lui era molto geloso e iniziò ad accusarla di tradimento. Disse di aver trovato sul mobile del bagno un tacco che non era suo e che era dell’amante, usando parolacce”.

Parola poi all’avvocato di parte civile Ruffini, che ha chiesto provvisionale e risarcimento. Ha parlato di “convivenza stabile dal dicembre 2019 al gennaio 2020, poi fino all’aprile 2021”. Ha rimarcato che, secondo la Cassazione, si può parlare di maltrattamenti anche nel caso di famiglia di fatto. Si è poi soffermato sui riscontri al racconto della donna.

“I testimoni hanno riferito che lui la insultava e la maltrattava perché aveva paura che lei lo tradisse e forzò la porta di casa col cric. Hanno parlato di telefonate ossessive fatte anche col cellulare di altri persone, tra cui quello di un teste”.

La madre della donna ha riferito che l’imputato “la teneva segregata impedendole di vederla, che lei perse 12 chili, cadde in depressione e dovette fare cure mediche”. Ruffini ha poi richiamato una testimone “che ospitò la donna scappata dalla propria casa perché non sapeva dove rifiutarsi per sfuggire alla persecuzione”.

E il datore di lavoro sull’episodio del novembre 2020 “ha confermato che l’uomo si mise di traverso con la macchina per impedire che lei fuggisse. E che poi lei in azienda era distratta e piangeva sempre, non usciva più con loro e aveva paura”.

Il legale ha riferito che quel giorno “lui le bruciò gli abiti nel camino”.

Ruffini ha rivolto un appello veemente al giudice: “Le cronache del giorno ci insegnano che i femminicidi, il male di questo periodo, forse sono conseguenza di comportamenti come questi, di delitti che non possono passare sotto limitazioni o alleggerimento della pena, ma devono avere il giusto riconoscimento in queste aule perché va represso il comportamento di una certa fascia di uomini”.

La difesa: “Non ci sono riscontri ai racconti di lei”

Il consigliere comunale di un paese della nostra provincia nega tutte le accuse. “Non vi sono riscontri agli episodi contestati e neppure sulla continuità degli eccessi di rabbia. È solo emerso che tra il nostro assistito, che era sposato e con figli, e la donna, vi fu una frequentazione. Fu lui a voler chiudere la storia, ma non vi furono comportamenti di rilievo penale”.

È quanto è stato puntualizzato all’inizio dell’arringa, durata pochi minuti, per l’imputato consigliere comunale, assistito dagli avvocati Gianluca Vinci e Daniele Erbanni (ieri sostituiti in aula dall’avvocato Andrea Trolli). La difesa ha sostenuto che mancano i presupposti per contestare il reato di maltrattamenti in famiglia: "Non c’era la convivenza, ma una relazione extraconiugale sporadica con incontri a casa di lei”. Secondo quanto testimoniato da un vicino di casa, come ricordato dalla parte civile, invece i due vissero sotto lo stesso tetto. La difesa ha chiesto l’assoluzione «perché il fatto non sussiste, in subordine minimo della pena e attenuanti generiche.

Da noi interpellato a margine dell’udienza, l’avvocato Vinci riferisce che l’uomo «non abitava con la donna in modo stabile». E poi dice che «moglie e madre di lui sono venute a testimoniare: non conoscevano la donna e hanno appreso della vicenda solo nell’ultima fase della relazione».

I fatti, afferma Vinci, «riguardano la fase della fine della loro relazione, quando lui decide di lasciarla per tornare per sempre con la moglie e ci fu un litigio, in cui l’uomo svuotò un frigo che le aveva regalato. E poi quelli bruciati nel camino erano gli abiti non di lei ma di lui, che l’uomo volle bruciare ».

Sull’episodio dello pneumatico tagliato, datato 5 novembre 2020, «lui nega. Fu la donna – è la versione difensiva – a chiudersi nel bagno del piano terra e poi a uscire».

Vinci preannuncia che, in caso di condanna, «faremo appello». La prossima udienza davanti al giudice Francesca Piergallini è fissata in gennaio per le repliche, poi è attesa la sentenza.