ALESSANDRA CODELUPPI
Cronaca

Mafia nigeriana in città Confermate le condanne

La Cassazione ha rigettato i ricorsi per i membri del clan ’Maphite’. Nel giugno 2019 scattarono 19 fermi nell’ambito di un’inchiesta con 50 indagati.

Mafia nigeriana in città  Confermate le condanne

Mafia nigeriana in città Confermate le condanne

di Alessandra Codeluppi

L’azione di nigeriani, in regione e nella nostra città, che facevano parte di un’associazione mafiosa diventa ora una realtà accertata definitivamente anche dalla giustizia.

La Corte di Cassazione ha infatti rigettato ieri i ricorsi proposti dalle difese per gli imputati finiti in manette per 416 bis nell’ambito dell’operazione ‘Burning flame’, condotta dalla Dda di Bologna. Nel giugno 2019 scattarono 19 fermi, nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla polizia di Stato che vedeva indagate cinquanta persone e in cui si contestava per la prima volta in regione il reato di associazione mafiosa a un sodalizio di nigeriani. Spaccio, truffe online, clonazione di carte di credito, tratta e sfruttamento della prostituzione sono i reati di cui sono stati chiamati a rispondere i membri della ‘Famiglia Vaticana’, organizzazione territoriale del cult nigeriano ‘Maphite’, una delle confraternite che dal Paese africano si sono radicate in Italia e che sono contraddistinte da simboli, riti d’iniziazione e una rigida gerarchia.

Le prime condanne erano state emesse nell’ottobre 2020 dal gup di Bologna Domenico Panza. In Appello il sostituto procuratore generale Stefano Orsi aveva chiesto la conferma delle pene, sostenendo che la mafia nigeriana è uguale alla ‘ndrangheta come potenza, struttura e azione intimidatoria. Nel febbraio 2022 la quarta sezione penale della corte d’Appello, presieduta dal giudice Donatella Di Fiore, confermò, alleggerendolo di poco, il verdetto per i quattro nigeriani che gravitavano a Reggio: 7 anni e 10 mesi al 37enne Henry Adesotu Agahowa (in primo grado 8 anni e 4 mesi); 7 anni e 2 mesi al 28enne Martins Bello, al 33enne Charles Jolly e al 32enne Bright Ukponrefe Ikponmwpsa (in primo grado, per questi tre imputati, 7 anni e 10 mesi).

Le difese avevano chiesto di far cadere l’accusa di 416 bis, riqualificandola semmai in associazione a delinquere: avevano addotto la mancanza di prove per sostenere che vi fosse stato il ricorso all’intimidazione e omertà. Davanti alla Cassazione, il procuratore generale ha chiesto che i ricorsi presentati dalle difese fossero considerati inammissibili. Ieri la Suprema Corte ha deciso il rigetto: quindi diventa definitiva la sentenza emessa in secondo grado. Secondo l’avvocato Carmen Pisanello, che difende Agahowa, Bello e Jolly, "è comunque motivo di soddisfazione che il nostro ricorso abbia superato il vaglio dell’ammissibilità per poi essere analizzato nei suoi motivi specifici".