Reggio Emilia, 13 agosto 2022 - Liste d’attesa enormi, servizi sospesi ancora da riattivare e pronto soccorso chiusi per carenza di personale. Ma anche una ematologia d’eccellenza a livello nazionale (nel 2021 più di 50 trapianti), una dotazione tecnologia all’avanguardia, tempi di reazione per l’emergenza da record e tanti progetti futuri. La sanità è un organismo complesso, che se visto soltanto dalla prospettiva localista di un paese piuttosto che un altro, diventa incomprensibile.
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Dottoressa Cristina Marchesi, direttrice generale dell’Ausl, qual è lo stato di salute della nostra sanità?
"E’ ancora attrattiva. In molti ci ringraziano se vai sulle cose che contano e cioé “come vengono curati i pazienti“".
Ma le liste d’attesa si ingrossano a dismisura, a volte alcuni esami non sono prenotabili.
"Vi faccio un esempio. Una lista molto lunga è quella per l’oculistica. Bene, la metà di queste è per farsi misurare la vista. Dopo il Covid assistiamo a un boom immotivato di richieste di visite ed esami, forse perché le persone credono di non essersi prese cura di sé adeguatamente. Se nel luglio e agosto pre-pandemia in ospedale si notava un grosso calo di affluenza, oggi sembra di essere a gennaio. Attualmente la nostra produzione totale di esami è superiore a quella del 2019. E poi c’è anche un tema di appropriatezza delle richieste".
I medici di base spesso vengono inseguiti dagli assistiti, che pretendono ricette a tutti i costi.
"Anche la medicina generale è in grande sofferenza, sono pochi e con tantissimo turn-over. Fino al 2019 erano 330 tutti a tempo indeterminato, oggi ne abbiamo 258. Di questi 50 incaricati, di cui 29 sono medici corsisti, quindi giovanissimi. E poi abbiamo 15 posti sguarniti. L’ultima volta abbiamo bandito una ricerca per 64 zone carenti, ne abbiamo coperte 5. Ora la Regione ha alzato il limite a 1800 assistiti per ogni medico, così almeno non si rischia di rimanere senza medico".
Giovanissimi medici di base lasciati soli sul territorio. Non è un po’ troppo per loro?
"Infatti stiamo puntando molto sulle medicine di gruppo, in modo che facciano parte di un team di professionisti che si supportano a vicenda. Ce ne sono tante a Guastalla e Montecchio: funzionano bene".
Parliamo di emergenza-urgenza allora. Quante automediche ha Reggio ad oggi?
"Ne abbiamo sei di giorno e cinque di notte, più sei auto-infermieristiche, che nel 2019 non c’erano. Se ne parla troppo poco. Siamo tra i più dotati della Regione e soprattutto distribuiti bene su tutti i distretti".
Si parla, in compenso, di pronto soccorso.
"Lì abbiamo una grave carenza di professionisti".
Quantifichiamola.
"Se avessimo i punti di primo soccorso di Scandiano e Correggio aperti, solo per 12 ore, saremmo carenti di 24 medici specializzati, destinati a diventare 27 o 28 entro pochi mesi con altri pensionamenti. In questi casi però, se il medico di turno dovesse uscire, qualcuno dovrebbe sostituirlo di guardia tra gli internisti. Se volessimo evitare questo disagio, allora la cifra sale a 40".
Una domanda: in tutta la sua carriera ha mai visto assumere di colpo 24 medici specializzati in urgenza nel giro di pochi mesi?
"No, non l’ho mai visto".
E gli anestesisti?
"Altro tasto dolente. Siamo sotto di 22 unità oggi. Ma mancano anche 13 internisti. E per quanto riguarda gli specialisti ambulatoriali abbiamo 192 ore in meno offerte. Abbiamo già cercato varie volte di assumere personale tramite bandi, ma non li troviamo".
E se ci aggiungiamo tutte le altre specialità, comprese quelle che lavorano per smaltire le liste d’attesa?
"Superiamo il centinaio".
Giusto per avere un’idea: negli ultimi tre mesi quante assunzioni siete riusciti a fare?
"Come dipendenti 16 medici e 3 veterinari. Mentre in libera professione 13 medici che suppliscono in parte alla mancanza di medici dipendenti".
Allarghiamo lo sguardo alla cartina geografica. Reggio ha pochi abitanti più di Parma, ma noi abbiamo 6 ospedali e loro 3. Le risulta che abbiano zone senza assistenza?
"No, assolutamente. Parma ha fatto scelte diverse tanto tempo fa. Il nostro direttore generale Franco Riboldi fece le stesse ipotesi, che però non vennero accettate dalla politica di allora. Sei ospedali sono tanti, e nonostante questo abbiamo meno posti letto. Parma, grazie al privato convenzionato, ha paradossalmente più posti di noi. Noi abbiamo solo Villa Verde e Villa Salus, che ci stanno aiutando tantissimo".
Attualmente, con i due pronto soccorso di Correggio e Scandiano chiusi, si sono allungati i tempi di intervento in caso di urgenza?
"Come tempo di smaltimento delle persone, noi siamo i migliori in Regione. I tempi d’intervento medi sono di 14 minuti. In realtà la rete, così com’è oggi, ha dimostrato di reggere".
E avete mai avuto cause per essere intervenuti troppo tardi in caso d’urgenza, o per trasporti dai tempi troppo lunghi?
"No, mai che mi risulti".
Prima della chiusura, Scandiano e Correggio raggiungevano il numero minimo di accessi per giustificare i pronto soccorso?
"Scandiano sì, Correggio non lo raggiungeva".
Perché non pensare a sviluppare collaborazioni con gli ospedali di confine come Sassuolo e Carpi?
"Bisognerebbe cercare di costruire alleanze con loro. Noi l’abbiamo fatto già con l’ospedale di Modena per tutta la parte universitaria. Ma non è mai stato affrontato questo tema degli ospedale di confine da un punto di vista politico".
Lei pensa che sia possibile riaprire i due punti di primo intervento di Scandiano e Correggio a breve, con questa carenza di personale?
"Non a breve. Confidiamo nell’aumento dei posti di specialità, passati in Italia da 10mila a 17mila. Mi aspetto che tra tre anni ci siano più professionisti sul mercato, così da poterli allocare in modo equo sul territorio".
Ma quanto dura una specialità?
"Cinque anni. Però noi possiamo anche assumere gli specializzandi prima che finiscano".
Le specialità messe a disposizione sono tutte piene?
"Per gli anestesisti sì, mentre per l’emergenza-urgenza no".
E per i punti nascite, cosa dobbiamo aspettarci?
"Oggi ci mancano nove ginecologi per poter riaprire quelli di Guastalla e Castelnovo Monti. Ma confidiamo di riuscire a riaprire a breve quello di Guastalla, un ospedale che lavora tanto. Ma faccio notare una cosa: se nel 2001 avevamo più di 5mila parti all’anno, quest’anno ne abbiamo avuti meno di 3.500".
Il vero intoppo, più che l’emergenza urgenza, pare essere quello delle liste d’attesa. Come mai sono così lunghe?
"Il cittadino oggi fatica a prenotare una colonscopia o una risonanza al Santa Maria, perché questi reparti lavorano tantissimo per i pazienti interni già ricorverati. Ma così facendo, noi abbiamo un tasso di sopravvivenza enormemente più alto in tanti campi. Grazie allo screening, ad esempio, le morti per tumore alla mammella sono enormemente diminuite rispetto a decenni fa: spesso ci si dimentica. Io penso che oggi ci sia una grossa spinta verso l’innovazione, ma contemporaneamente anche uno sguardo rivolto all’indietro pensando di poter avere ancora il modello di sanità di decenni fa. E non è così".
Però qualcosa fa accumulare il ritardo.
"A soffrire di più sono le specialistiche. Prima del Covid si faceva una visita ogni 15 minuti. Nel 2020 passammo a 30 minuti: vuol dire dimezzare l’offerta e accumulare fila. Oggi siamo tornati più bassi ma non riusciamo a scendere sotto i 20 minuti, per le varie attività di sanificazione e la carenza di personale. Inoltre, non avere la certezza che tra mesi avremo quanti medici ci sono oggi, rende cauti ad aprire le liste molto in avanti".
Per convincere i medici a scegliere il pubblico invece del privato, voi potete stabilire aumenti di stipendio sostanziosi per certe categorie?
"Non così sostanziosi. Possiamo lavorare sul salario di risultato o sugli avanzamenti di carriera. Ma sono contingentati a fondi contrattuali specifici. E’ un tema nazionale, anche se ormai sta entrando nella mentalità comune che alcuni professionisti vadano pagati di più".
Cosa offre il Santa Maria a un giovane neo-specializzato?
"Abbiamo tantissime prospettive, come ad esempio il futuro Mire. Abbiamo obiettivi di dotazione tecnologica che vogliamo acquisire nei prossimi anni. Abbiamo il nuovo comparto operatorio al 4° piano, per il quale qualcosa si sta muovendo. Abbiamo in cantiere una struttura residenziale per giovani con disagio psichico, diventata fondamentale dopo il Covid. Sulla parte oncologica abbiamo tutta l’indagine genomica, anche l’ematologia si sta ampliando. Abbiamo l’Irccs che ha un nuovo direttore scientifico, è stata irrobustita la parte di ricerca. E l’Ircss ora supporta la ricerca di altri reparti, anche se non oncologica".