DORIANO RABOTTI
Cronaca

"Libri sì, dischi no. Perché?" Il mondo in vinile protesta

Torelli gestisce un santuario musicale a Casalgrande, in via Radici 15 "Non capisco che differenza ci sarebbe tra un romanzo e un disco di Dylan"

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di Doriano Rabotti

La zona rossa ha fermato anche il giradischi del cuore. Tra i negozi costretti a chiudere al pubblico c’è anche Mondo Musica, un piccolo tempio storico per gli amanti del vinile. Aperto nel 1982 da Mario Torelli a Veggia di Casalgrande, in via Radici 15, da allora il piccolo punto vendita è quasi un santuario, meta di pellegrinaggio: perché negli ultimi anni il vinile è tornato di moda, ma prima il disco nero era una roba da collezionisti, ormai.

Da ieri, Mondo Musica può fare solo consegne a domicilio. Come tanti altri negozi, certo: ma la merce che vendi fa molta differenza. Un conto è mandare a prendere la cena, più dura è aspettarsi che qualcuno compri un 33 giri d’autore e lo aspetti nella cassetta della posta o col corriere: "I nostri clienti di sicuro non fanno assembramento, però hanno il bisogno quasi fisico di vedere il disco, prima di comprarlo. Abbiamo trentamila titoli a disposizione, molti sono edizioni rarissime arrivate anche dall’estero: non siamo certo un negozio per clienti di passaggio", racconta Torelli, 62 anni, che in un disco c’è anche finito (’Mio fratello fa il dj’ dei Toro Toro Taxi guidati dal fratello Angelo).

In realtà, il pomo della discordia è un altro. Perché il lockdown sta colpendo tantissimi settori, e di questo Torelli è pienamente consapevole. E’ più difficile accettare che sia considerata cultura solo quella che permette alle librerie di rimanere aperte, e non quella degli artisti musicali: "Io questa differenza non la vedo, onestamente. Non credo che un disco di Bob Dylan o Springsteen o di chiunque altro abbia meno valore culturale di un romanzo. Però noi dobbiamo chiudere e le librerie no, noi paghiamo l’iva più alta d’Europa, ma non siamo tutelati. Non ne faccio soltanto una questione commerciale, anche se mi stupisce che possa stare aperto chi vende mutande, non lontano dal mio negozio, e non io che vendo cibo per la mente. Perché è questo che mi dispiace di più: non poter trasmettere la passione e la conoscenza di quarant’anni di lavoro a chi entra nel negozio, non poterla condividere con loro. E’ un lockdown dell’anima, non solo della cassa".