Conosco bene il vuoto che si prova quando arriva una diagnosi. La paura dell’ignoto. Non sentirsi all’altezza. Il dolore di dover rinunciare alla soddisfazione e alla indipendenza che ti dà il lavoro. La paura che la coppia non sopravviva alla diagnosi. La paura di non essere capiti o di essere giudicati colpevoli. La solitudine. Io personalmente l’ho aiutata a proliferare questa solitudine. Allontanavo tutto e tutti. Non avevo nemmeno più forze di portarlo a fare la spesa con me. Terrorizzata dagli sguardi, dal giudizio altrui, da una sua eventuale crisi. Isolavo me, lui, suo fratello e il mio compagno ovviamente seguiva questo sentimento di chiusura. Per alcuni arriva anche la vergogna. Sono consapevole della stanchezza con cui si arriva a sera. Quante forze e quanta pazienza servono. Troppe. Sono tutti sentimenti leciti e umani che ogni famiglia prova. Per carità, sentimenti che può provare anche una famiglia senza una diagnosi di disabilità. Non è mia intenzione fare una gara a chi sta peggio. Il tema è ovviamente un altro. Rifugiarsi nel dolore e non avere forze per combattere è la prima sensazione che ci avvolge. La casa diventa una cella. Ci ritroviamo agli arresti domiciliari senza sapere bene da dove e come ripartire.
Quanti episodi di poca inclusione servono per scoraggiare una famiglia che affronta già tutto questo? La risposta più ovvia sarebbe nessuno. Purtroppo però ci sono. In tanti ambiti. Ma sceglierò i due più importanti, fondamentali, per lo sviluppo e la realizzazione degli obiettivi di un bambino con disabilità. La scuola e la terapia. Le poche ore di sostegno che vengono riconosciute. Gli spazi della scuola, dedicati ai bambini disabili, assenti. La frase "è sempre stato così". Le poche ore di terapia riconosciute dall’Usl. Le liste di attesa, infinite, per avere l’educatore a domicilio. Campi estivi non idonei. Strutture pomeridiane, per chi ha difficoltà economiche che dipendono dalla diagnosi, inesistenti. Questa lista potrebbe continuare. Ciò che non deve assolutamente fermarsi è che le famiglie devono sapere che non devono perdere la voglia di lottare per i diritti che non vengono riconosciuti ai loro bambini. Io, fin da subito non ho accettato le risposte standard della scuola. Fin da subito ho richiesto incontri, mandato mail e ribadito che mio figlio deve vivere tutto ciò che vivono anche i bambini a sviluppo tipico. Ovviamente nella corretta aspettativa data dalle sue reali possibilità. Sono andata contro un sistema che la gente crede ormai consolidato. Sono andata contro una triste realtà che uniti si può sgretolare e ricreare. Dobbiamo crederci tutti. Sgretolare e ricreare quello che ci circonda come abbiamo fatto quando abbiamo ricevuto la diagnosi di neurodiversità. Io vi sto portando un esempio lampante. Il mio. Sono partita dall’incontro con la scuola, all’articolo, ragguardevole, sul Resto del Carlino di Reggio Emilia e sono arrivata a dire ‘io ce l’ho fatta’. Ho ottenuto un contentino. L’articolo di domenica, che senza paura ne mezzi termini, ha raccontato una realtà diffusa, una situazione nazionale che nessuno riuscirebbe a combattere da solo, mi ha fatto ricevere un contentino che a oggi mi faccio andare bene (sette ore in più di sostegno all’asilo che frequenta in Val d’Enza, ndr ). Ovviamente la mia battaglia non finisce qui. Mi dispiace essere la dimostrazione che occorre battersi per ottenere un concreto cambiamento. E chi non ha più forze? Chi non ha il coraggio? Quello che ho ottenuto, con il mio attacco, dovrebbe essere la normalità. Non devo rimanere una delle poche che porta a casa dei risultati. Devo diventare una delle tante. Per questo voglio dire a tutte le famiglie di non avere paura. Di non avere vergogna. Di combattere e di metterci la faccia. Non rimanete a casa in silenzio perché vi dicono "è sempre stato così". Ribellatevi. Raccontatevi. Confrontatevi con altre famiglie che vivono la vostra situazione. Ci sono. Ci siamo. Provateci. E ricordatevi che nessuno si deve permettere di privarli degli strumenti che gli permetteranno di suonare una sontuosa musica.
Sara Balotta, blogger e madre di un bimbo autistico