L’eccidio delle Reggiane: "Gli operai chiedevano la pace. Per noi sono eroi e martiri"

Il 28 luglio ’43 i lavoratori scesero in sciopero: nove restarono a terra, colpiti dai soldati. Il sindaco: "Reggio deve molto ai lavoratori delle Officine e alle loro spinte per il progresso".

L’eccidio delle Reggiane: "Gli operai chiedevano la pace. Per noi sono eroi e martiri"

Il 28 luglio ’43 i lavoratori scesero in sciopero: nove restarono a terra, colpiti dai soldati. Il sindaco: "Reggio deve molto ai lavoratori delle Officine e alle loro spinte per il progresso".

Sono stati commemorati ieri, nell’81° anniversario dell’eccidio, i caduti delle Officine Reggiane: Domenica Secchi (che era incinta), Antonio Artioli, Vincenzo Bellocchi, Eugenio Fava, Nello Ferretti, Armando Grisendi, Gino Menozzi, Osvaldo Notari, Angelo Tanzi. Decisi a scioperare contro la guerra, morirono – sotto le fucilate dei soldati di guardia – ai cancelli delle grandi Officine sulla via Agosti tre giorni dopo la destituzione di Mussolini.

"Reggio deve molto agli operai delle Reggiane. Per tutto il Novecento hanno rappresentato una spinta costante al progresso e alla democrazia. Hanno pagato un caro prezzo alle loro battaglie, con il carcere durante il fascismo, con la morte come il 28 luglio 1943, con l’emigrazione dopo l’occupazione degli anni Cinquanta", ha detto il sindaco Marco Massari, durante il proprio intervento al Tecnopolo (Capannone 19 delle Officine Reggiane), dopo la deposizione della corona di alloro ai piedi della lapide che riporta i nomi dei caduti.

"Quel giorno gli operai delle Reggiane scioperarono e volevano uscire dalla fabbrica per manifestare contro la guerra – ha proseguito il sindaco - Chi li uccise? Certamente il Regio Esercito, forse anche qualche guardia fascista della direzione di fabbrica". Sangue innocente chiama sangue innocente. In seguito scattò la vendetta: venne prelevato e ucciso il tenente Loldi, che di solito era in servizio alle Reggiane ma che quel 28 luglio era a Cremona: dunque, non poteva essere stato lui a dare l’ordine di fare fuoco.

Il sindaco ha citato l’ordine del giorno emanato dal generale Mario Roatta, capo di stato maggiore dell’Esercito, il 26 luglio: ‘ …qualunque perturbamento dell’ordine pubblico anche minimo e di qualsiasi tinta costituisce tradimento; poco sangue versato inizialmente risparmia fiumi di sangue’".

Insomma, l’ordine era di sparare.

"Per Roatta e per il re – ha ribadito il primo cittadino – gli operai delle Reggiane che chiedevano la pace erano traditori, meritevoli di fucilazione. Per noi sono eroi e martiri". Poi, riferendosi, a un scritta fascista riapparsa (e conservata) durante i lavori di restauro: "Quelli delle Reggiane sono muri che parlano. L’importante è sapere che prima di poterla scrivere, il fascismo aveva dovuto piegare con la violenza la resistenza degli operai".

All’incontro sono intervenuti anche Nico Giberti, consigliere delegato della Provincia e Rosamaria Papaleo, segretaria della Cisl Emilia centrale.