di Alessandra Codeluppi
"È emerso in modo univoco che Francesco Grande Aracri, dal 2004 in poi, ha continuato ad aderire all’associazione di ‘ndrangheta emiliana, attraverso la messa a disposizione delle sue società, la cogestione di affari economici e la tutela del patrimonio della cosca", fatto "che si evince da innumerevoli elementi di prova". Lo scrive il collegio di giudici – presidente Donatella Bove, a latere Silvia Guareschi e Matteo Gambarati – nelle motivazioni della sentenza del processo ‘Grimilde’ con rito ordinario, emessa nel dicembre 2022, dove la pubblica accusa è stata sostenuta dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia Beatrice Ronchi (foto in basso).
Sedici gli imputati, tra cui il 62enne – fratello del boss Nicolino Grande Aracri – e suo figlio Paolo, entrambi condannati per mafia: il primo a 19 anni e mezzo, il secondo a 12 anni e 2 mesi. Nelle oltre 1.200 pagine, emergono riferimenti ai rapporti con la politica brescellese, di recente tornati d’attualità quand’è emerso che i due ex sindaci del paese di Peppone e don Camillo Giuseppe Vezzani e Marcello Coffrini sono indagati per concorso esterno alla mafia.
Francesco Grande Aracri "ha scelto di operare da una posizione di retroguardia, individuando nelle operazioni di intestazione fittizia uno schermo protettivo, in forza del quale proseguire nella propria azione di radicamento del territorio, di concerto con altri". Viene inquadrato come partecipe: "Ha dismesso il ruolo apicale che gli fu riconosciuto in ‘Edilpiovra’".
Un elemento rilevante indicato a sostegno dell’intraneita è il "non aver mai interrotto il rapporto" con il fratello Nicolino, e "averli mantenuti con altri sodali". Secondo Grande Aracri, i viaggi per andare a trovare il boss a Cutro, nel 2002 e nel 2011, erano avvenuti per affrontare questioni ereditarie.
"Ma solo nel marzo 2022, dopo 27 anni dalla morte del loro padre e a 21 della madre, in concomitanza col processo, vi fu una divisione formale dei beni tra fratelli e sorelle, ufficializzando quella che si era già creata da decenni. Fatto avvenuto quando i fratelli Nicolino, Francesco, Ernesto e Antonio erano già detenuti: quindi a una soluzione si poteva arrivare a prescindere da incontri di persona, peraltro fugaci.
La discesa di Francesco e del figlio Salvatore nell’aprile 2011 prova la sua affiliazione dopo ‘Edilpiovra’ perché si è precipitato da Nicolino non appena scarcerato".
Sul piano politico, la Corte definisce "allarmante" la sua capacità "di strumentalizzare i buoni rapporti con l’amministrazione brescellese, in particolare con Ermes e Marcello Coffrini, per ottenere modifiche del piano regolatore di cui hanno certamente beneficiato le imprese del gruppo di ‘ndrangheta in Emilia. Che la cosca avesse avuto il supporto dell’amministrazione lo si deduce dall’equivoca manifestazione in piazza ‘Contro tutte le mafie, con Marcello’".
In una telefonata "è l’imputato a confermare che l’appoggio ad alcuni politici era reale". Grande Aracri analizza il 14 luglio 2017 le dinamiche politiche di Reggio, "dove a suo dire i cutresi avevano appoggiato la sinistra".
"Per carità – dice Francesco – è con l’aiuto della sinistra che a Reggio ha funzionato, così l’Emilia-Romagna è tutta a sinistra". L’interlocutore ribatte: "Ma una volta era sinistra, adesso non c’è più niente". E Grande Aracri: "No, no, no, compare, tiene una potenza che manco i cani... Eh sì perché, parliamo seriamente, tutti noi cutresi, no, siamo stati affianco alla politica a sinistra, perché... facevamo il suo gioco. Almeno ci danno il lavoro. Vi diamo il voto, iniziamo il lavoro".
Siamo dopo Aemilia, rimarcano i giudici. "Invece alla fine oggi non ci conoscono più – diceva Grande Aracri –. Anzi chi ha avuto contatti con la politica cerca di nascondersi. Dicono che non ci conoscono, è una cosa incredibile... Poi i lavori che abbiamo fatto noi sapete cosa sono, conto terzi, lotti piccoli. Le cooperative hanno fatto i mega lavori. E mo’ ci stanno accusando che mettono sul giornale, è uscito un’altra volta l’articolo che noi cutresi abbiamo cementato Reggio. Che vergogna, compa’...". L’avvocato Pablo De Luca, tra i difensori degli imputati, commenta così la corposa sentenza: "Ho notato nei vari casi trattati in questi anni che sull’aggravante 416 bis la giurisprudenza di merito è spesso difforme su vicende con condotte sovrapponibili unitamente all’elemento psicologico. Questo crea decisioni non omogenee che sono un limite alla certezza del diritto, in quanto l’esito del giudizio, più che risultato dell’applicazione di criteri oggettivi, è fondato sulla sensibilità del giudicante...".