"Il problema più urgente è che si sta consolidando la forbice delle disuguaglianze": è con questa frase che Simone Vecchi, segretario generale della Fiom di Reggio, ha sintetizzato l’analisi dei bilanci delle imprese metalmeccaniche reggiane fra il 2014 e il 2023. Con Matteo Gaddi del Centro studi nazionale al suo fianco, la Federazione ha presentato i risultati dei suoi studi in vista della firma del nuovo contratto collettivo nazionale, con il prossimo appuntamento programmato per giovedì. "La forbice – ha affermato Vecchi – delle disuguaglianze si sta aprendo sempre di più, negli ultimi dieci anni la ricchezza non è stata distribuita in maniera equa. Gli utili sono aumentati del 333%, i costi del personale solo del 49%. Per questo chiederemo nel nuovo contratto un aumento di 280 euro lordi al mese per 13 mesi, perché i margini ci sono anche per le piccole imprese. Nelle realtà sotto i 50 dipendenti l’utile annuo per addetto è estremamente alto, quasi 18mila euro, che diventano 28mila nelle imprese con contrattazione aziendale e 43mila in quelle che applicano il Ccnl: le risorse per un aumento di 280 euro ai dipendenti ci sono, quantomeno a Reggio Emilia. Nel resto d’Italia non lo so, ma qui di certo". La richiesta è quindi mirata: "Le stime sull’inflazione nel prossimo triennio parlano di un 6%, un aumento di circa 125 euro al mese, noi chiediamo più del doppio anche perché negli anni scorsi gli stipendi non sono cresciuti di pari passo ai prezzi".
Scorrendo grafici e tabelle emerge che tutti i dati sono in aumento, la differenza sta nei tassi di crescita: nel 2014 il valore della produzione delle 235 imprese che applicano il Ccnl era di 9 miliardi, nel 2023 è stato di 16; il valore aggiunto da due e mezzo è passato a quattro e mezzo, i costi del personale da 1,7 a 2,5. Gli utili infine da 363 milioni a 1 miliardo e 574 milioni. Un numero significativo è rappresentato dalla distribuzione percentuale del valore aggiunto: nel 2014 il 64% di quanto prodotto veniva indirizzato ai costi del personale e il 35% all’Ebitda (i cosiddetti "margini d’impresa", sostanzialmente l’utile lordo); nel 2023 il rapporto è stato di 55 a 44, con un calo di 9 punti da una parte e un aumento di 9 dall’altra.
"L’incremento percentuale degli utili è sistematicamente più alto rispetto all’aumento dei costi del personale" commenta Gaddi. Le imprese metalmeccaniche con meno di 50 addetti (331 in provincia) presentano le stesse tendenze: il valore della produzione è passato da 2 miliardi e mezzo a 5 in 10 anni, i costi del personale da 560 a 890 milioni, l’utile da 18 a 328. Il 2014 per le pmi fu un anno di particolare crisi, ma anche confrontando il 2023 con il 2018 (miglior anno del pre-Covid) i costi del personale sono cresciuti del 28% mentre gli utili del 150%. Vecchi fa un’analisi importante anche sull’export metalmeccanico, in crisi a causa delle difficoltà tedesche: "Prendendo a riferimento il primo trimestre del 2021, si è evidenziata una crescita fino a gennaio 2023 arrivata addirittura al 30%. Poi c’è stato un calo progressivo fino al 16% di oggi, quindi è giusto vedere una contrazione ma va relativizzata: l’export del secondo trimestre 2024 è stato pari a quello del primo trimestre 2022, 1 miliardo e 27 milioni circa, allora il record del secolo. La crisi e lo stop all’importazione dalla Cina dicono comunque che bisogna rafforzare il mercato interno, quindi aumentare i consumi e prima ancora i salari". Il segretario reggiano della Fiom rileva anche il "boom della cassa integrazione nell’industria metalmeccanica, con la differenza rispetto al 2014 che oggi la fanno non solo gli operai ma anche gli impiegati, mentre la marginalità delle imprese viene salvaguardata". Ultimo dato, i bilanci mostrano che nelle aziende con Ccnl ogni dipendente costa in media 61.669 euro annui, in quelle da meno di 50 addetti 53.836 e in quelle infine con contratto aziendale cioè sindacalizzate 63.822, +18%.
Tommaso Vezzani