
L’associazione ricorda con emozione il 101esimo anniversario dell’indipendenza albanese, celebrato nella Sala Tricolore
C’è un angolo di Albania a Reggio Emilia. Un pezzo di storia migrante che ha attraversato il mare e si è piantato qui, nella terra del parmigiano, portando con sé radici, speranze, ferite. E un’identità che nessuno ha intenzione di lasciare scivolare via. "Non sono venuta perché stavo male, ma perché volevo sicurezza. Il mio Paese non poteva più darmela, l’Italia invece sì". Valbona Stillo consigliera dell’associazione Shqiponja e motore instancabile del progetto, è arrivata a Reggio nel 2004 con una bambina di tre anni per mano, il cuore pieno di certezze che vacillavano e la voglia di ricominciare. Reggio Emilia non ha alzato muri. Non ha chiuso le porte.
"Lavoro per la stessa famiglia da vent’anni. Mia figlia è stata accolta a scuola senza esitazioni, anche se non parlava la lingua. Nessuno l’ha mai fatta sentire esclusa, nemmeno una volta". E oggi, quella bambina di allora non solo parla perfettamente italiano, ma padroneggia anche il dialetto reggiano. "Tuttavia, a casa, si parla albanese - dice Stillo - perché non si può essere qualcuno senza sapere da dove si viene". Nel 2010, gli albanesi di Reggio hanno capito che serviva un punto di riferimento. È nata così l’associazione Shqiponja, sotto la guida del presidente Haki Maze: "È una casa. Un rifugio. Un modo per dire: ci siamo". E nel 2019 è arrivata anche la scuola in via Marzabotto. "Vogliamo che i nostri figli parlino la nostra lingua, che possano comunicare con i nonni, che non dimentichino chi sono". I bambini iscritti sono circa 45, e ogni anno il numero cresce.
Ma c’è di più: "tra i banchi non siedono solo figli di albanesi. Ci sono anche altre comunità, mogli e mariti che vogliono capire la lingua del compagno; tra questa anche qualche italiano". E poi c’è Salvavita, il progetto che è soprattutto un’ancora di salvezza per chi in Albania non ha alternative. "Perché la sanità è pubblica, sì. Ma mancano i farmaci. Mancano le attrezzature. Così abbiamo iniziato nel 2019, in collaborazione con la regione Emilia-Romagna e l’ospedale Santa Maria Nuova. Il primo paziente aveva la leucemia acuta. Oggi è vivo, grazie all’Italia, grazie alla città e all’equipe medica dal cuore grande. Questo per noi è uno dei progetti più importanti". Valbona però accenna anche ad un sogno: "Se riuscissimo ad avere un luogo nostro, potremmo accogliere i pazienti in arrivo e dare loro un posto dove stare durante le cure. "E’ un sogno ma anche una necessità".
In questi anni di associazione ricordano con emozione il 101esimo anniversario dell’indipendenza albanese, celebrato nella Sala Tricolore: "Abbiamo scambiato le bandiere. La nostra, rossa e nera, e quella italiana. Eravamo nel luogo in cui per la prima volta in Italia è stata issata la bandiera tricolore. Per un giorno, Reggio Emilia è stata Valona, la città dove abbiamo proclamato la nostra indipendenza". Oggi, la comunità albanese conta più di 6.000 persone solo a Reggio Emilia. I figli, i nipoti, le terze e quarte generazioni, sono ormai italiani. Ma questo non significa che abbiano dimenticato chi sono. "L’integrazione è reale. I nostri ragazzi parlano italiano, studiano qui, lavorano qui. Ma non possiamo permettere che perdano la nostra lingua, i nostri valori". E soprattutto, non possono permettere che chi arriva oggi si senta solo. "Quando sono arrivata io, non c’era niente – conclude Valbona Stillo –. Ora chi viene trova un’associazione pronta ad aiutarlo, a sostenerlo, a spiegargli come funziona la vera integrazione. Quella che significa essere parte di una società senza perdere se stessi".