ANDREA
Cronaca

Inferno in zona stazione: "Sbandati, risse e droga. L’area è fuori controllo"

Il prof Unimore: "Dopo anni all’estero sono tornato nella casa dei miei nonni ma ora penso di andar via. Non è un posto dove i bimbi possono crescere".

Inferno in zona stazione: "Sbandati, risse e droga. L’area è fuori controllo"

Paolella (*)

Son nato a Reggio Emilia nel 1984. Ho vissuto all’estero per dieci anni (nove in Canada e uno in Austria) e sono tornato tre mesi fa a Reggio Emilia, dopo aver vinto un concorso come professore associato in chimica a Unimore. Sono tornato in Italia con mia moglie e i miei tre bambini. Abitiamo in quella che era la mia casa d’infanzia, un appartamento al terzo piano di via Ceva, nel quartiere della stazione. Mia mamma è nata in questa casa. I miei nonni hanno comprato quell’appartamento ancora prima che venisse costruito nel 1954. È bello per me pensare che quattro generazioni della mia famiglia hanno vissuto questi muri. E sto pensando di lasciarli perché non penso che il mio quartiere, che amo tanto, sia un posto dove i bambini possano crescere bene. Davanti al distributore dell’Eni sotto casa è facile trovare dei drogati, i quali, nascosti all’ombra del grande pino, passano le ore senza essere mai disturbati. Nei giorni di pioggia o di freddo, alcuni poi cercano rifugio nelle cantine del palazzo ed è garantito lo spavento quando si scendono le scale e si incontra uno di questi, senza denti, che fumando crack nella penombra dice "tranquillo amico non chiamare police, vado via subito". Io invece la polizia l’ho chiamata sempre e ringrazio la questura per avermi ascoltato e almeno garantito un po’ di sicurezza nel mio palazzo. Il mio povero vicino di casa che ha perso una gamba per il diabete staziona ogni giorno davanti alle scale di via Ceva e lui è testimone di un grande via vai di giovani consumatori minorenni (di ottime famiglie reggiane) che comprano marijuana negli androni dei palazzi. Via Tondelli non è certo meglio: altri drogati, molti sdentati, si nascondono tra le macchine parcheggiate e poi spesso iniziano dei litigi ed allora volano bottiglie e qualcuno con un monopattino scappa. I portici di viale Quattro Novembre sono bui anche nelle giornate di forte sole. Decine di giovani ragazzi passano il tempo appoggiati ai muri, per poi svegliarsi all’improvviso, dileguarsi e cercare un altro muro. Lungo via Eritrea non si riesce a camminare: gruppi di tossici e spacciatori sono sempre davanti a un bar e un alimentari. I clienti in Mercedes e Bmw parcheggiano pochi minuti e si fanno lanciare le dosi dai finestrini. Le risse sono quotidiane: questo triangolo di Reggio delimitato tra viale Piave, via Eritrea e viale IV Novembre sembra senza legge. La notte poi è solo un via vai di fantasmi incappucciati con delle lattine in mano. La mattina, invece che da un gallo, si è svegliati di solito da un nigeriano che urla contro non si sa chi. Non è una percezione questo senso di insicurezza, è la realtà di chi vive qui. Non è vero che poi tutti i quartieri delle stazioni siano terre di nessuno: basta farsi un giro a Vienna, che è poi una città con alte percentuali di immigrazione. Qui da noi i cortili sono presi per orinatoi a cielo aperto, nei bidoni grandi e piccoli si trova di tutto. I bar della zona stazione sono gli unici senza tavolini fuori per evitare assembramenti pericolosi o il volo di sedie.

Non è questo il quartiere che ricordo. Non è questa la tristezza che ricordo. Non è questo vivere in modo multietnico. Ho vissuto in Canada 9 anni, sono diventato canadese e sono aperto alle altre culture. Come scienziato ho lavorato con decine di nazionalità diverse. L’unico modo per fare coesione è avere progetti, un’idea di futuro. Non è solo un problema di ordine pubblico: certamente una presenza fissa di polizia ed esercito servirebbe a disincentivare le possibili risse quotidiane. Qui non ci sono idee. Penso che a problemi difficili si debbano trovare idee creative. Come prima cosa bisognerebbe trasformare l’intero quartiere in una cittadella universitaria, comprando le case all’asta e dandole in mano agli studenti. Dai giovani non può che uscire qualcosa di buono. Bisogna che l’amministrazione e la regione per prime trovino un progetto vero. Si potrebbero avere centinaia di posti letto che vorrebbe dire portare un po’ di speranza. I negozi in questo quartiere hanno diverse vetrine rotte. Bisognerebbe cercare di spingere la riqualificazione di caseggiati abbandonati lungo viale IV Novembre e incentivare investimenti di privati. Accogliere migliaia di persone senza creare delle prospettive e concentrarle in tre strade non è multiculturalismo: è una resa, è non credere nel futuro. Centinaia di giovani forti e in salute sono attirati da attività poco pulite o sfruttamento: è possibile perdere della gioventù così? Possibile che non esista niente da offrire? Questo meccanismo è stato forse creato per mantenere abitabili altre zone mentre un quartiere resta fuori controllo. Chi mi legge si chiederà: ma chi te l’ha fatto fare di ritornare a Reggio? Io amo Reggio, amo la mia città e ho voluto far conoscere i nipoti ai nonni da vicino. Ho un passaporto canadese che posso sempre riutilizzare ma ho deciso di tenermelo da parte per qualche tempo. La qualità della vita qui potrebbe essere veramente la migliore del mondo ma ci vogliono progetti e amministratori lungimiranti.

*Professore di chimica

a Unimore

(Leggi la lettera integrale sul sito web www.ilrestodelcarlino.itreggio-emilia)