Giulia Cecchettin come Saman Abbas. Culture diverse, religioni differenti, ma lo stesso destino. Il caso di Vigonovo ha molti aspetti simili al dramma di Novellara.
Sindaco Elena Carletti, il male che può derivare dalla volontà di togliere la libertà altrui non sembra conoscere confini definiti…
"E’ proprio così. Ho seguito la vicenda di Giulia dall’inizio. E da subito ho immaginato che l’esito di questa storia non potesse essere diverso da quello già vissuto con Saman. Il giallo della scomparsa, poi il ritrovamento del corpo, l’arresto del presunto colpevole…".
E la coincidenza delle date…
"Sembra incredibile come il ritrovamento del corpo di Giulia avvenga nel primo anniversario del ritrovamento del corpo di Saman, a Novellara".
Ma cosa si può fare per contrastare questo fenomeno che non sembra avere fine?
"E’ indispensabile contrastare il patriarcato, che molto male può fare a tante donne. Ne abbiamo parlato di recente anche in un incontro con la psicologa Amelia Canovi, sottolineando come certe relazioni tossiche e malate creino dipendenze inquietanti. A tal proposito ritengo valido il nostro progetto con i ’sensori di comunità’, chiamati a captare situazioni sospette e a segnalarle. La preparazione, la formazione è basilare. Non solo per gli operatori del settore, ma per tutti i cittadini".
Quale è l’ostacolo maggiore da superare?
"Occorre insistere affinché si diffonda un’attenzione alla sensibilità. Far capire alle vittime di violenza e potenzialmente a rischio che esiste una vita anche al di fuori delle relazioni. Al di là della cultura patriarcale, che è pesantissima e va sradicata, c’è pure la fragilità di persone che non riescono ad immaginarsi al di fuori della loro relazione. Ci sono donne che non accettano la fine di una relazione come se non esistesse vita al di fuori di quel rapporto. Spesso si tratta di donne con pochi strumenti, con poche risorse, che tornano a casa, dal loro carnefice…".
Ma ogni caso sembra autonomo, con una storia a sé.
"E’ così. Ricordo uno dei primi casi di cui si parlò molto nella nostra provincia: il delitto di Jessica Filianti, nel 1996 a Reggio. Aveva 17 anni. Purtroppo non abbiamo un identikit del carnefice. Ci sono atteggiamenti e reazioni molto trasversali: alle culture, ai ceti sociali, dal punto di vista anagrafico. Ci sono vittime e assassini dai ventenni fino ai pensionati. Anche i tentativi di accusare una religione o una cultura diventano strumentali. La verità è che dobbiamo ammettere la presenza di situazioni molto diverse tra loro. Per questo credo sia necessario aumentare le risorse e l’impegno per formare ancora meglio gli operatori, gli assistenti sociali, i mediatori culturali, perché siano in grado di capire e affrontare anche dinamiche sociali, culturali, di pensiero che possono essere molto diverse tra loro".