Chilloni
"Confermate le previsioni. Innanzitutto l’allineamento dell’Emilia-Romagna alla tendenza nazionale all’astensionismo". Il professor Massimiliano Panarari, docente di Sociologia della Comunicazione (Università di Modena e Reggio, Luiss), politologo, analizza l’affluenza al voto in Emilia-Romagna, drammaticamente calata dal 67,27% del 2020 al 46,42%.
Professore, come spiega tale crollo?
"L’Emilia-Romagna non è più quell’isola di partecipazione elettorale: già si era segnalato in alcune altre occasioni in passato, ora si conferma che è una regione come le altre in un Paese in cui l’elevata partecipazione al voto è definitivamente archiviata. Le regioni della cosiddetta "terza Italia" in passato avevano rappresentato su scala europea un luogo di significativa partecipazione dei cittadini-elettori in una lunga fase del Novecento. Poi con gli anni 2000 questo senso di appartenenza ha accusato un progressivo indebolimento ed ora abbiamo un allineamento con il mondo occidentale definitivo e completo".
Oltre alla fine della diversità, ci sono altri elementi significativi?
"L’offerta politica resta l’unico modo per contrastare la tendenza alla disaffezione alla politica. I cittadini chiedono discontinuità incessante, cambiamento continuo rispetto alla situazione in cui sono. Tecnicamente si chiama "nuovismo". Se la tipologia di offerta va incontro alle aspettative dei cittadini, non significa però che essa sia la soluzione ai problemi. Basti vedere cosa potrebbe accadere negli Usa dopo il trionfo di Trump dal punto di vista della tenuta degli istituti della democrazia rappresentativa. Si potrebbe affermare che la tenuta del centrosinistra in Emilia-Romagna comunque segnala che le politiche offerte fino ad ora hanno incontrato il gradimento dei cittadini. Ma si tratta di una scorciatoia cognitiva. L’anima della politica attuale è la ricerca da parte degli elettori di una personalità a cui affidarsi. Per avere competitività pertanto (nonostante questo aspetto sia discutibile) la politica tende a mettere in campo leader che siano in grado di intercettare esigenze o raccontare narrazioni che diano ai cittadini questa sensazione. Naturalmente, da questo punto di vista, il centrosinistra su scala nazionale e per tradizione cultural-politica, è sempre all’inseguimento".
Non pensa sul calo dei votanti possa influire anche il fatto che la Regione così come l’Unione Europea siano percepite più distanti rispetto al propri Comune o al Parlamento?
"Non c’è dubbio che elezioni percepite come di secondo livello possano appassionare meno e che alcuni enti siano considerati distanti perché le persone li considerano come burocratici e non direttamente impattanti sulle loro vite. L’elezione regionale è diretta, ed anzi i candidati alla presidenza sono chiaramente evidenziati nella competizione. La riduzione dell’affluenza si spiega con il trend generale: i cittadini non ritengono più la politica importante per la loro esistenza, non credono possa risolvere i loro problemi che sempre più sono… micro-problemi".
La politica non fa abbastanza per rilegittimarsi?
"La social-disintermediazione è una dimensione che in Italia è particolarmente evidente anche perché scritta nella storia del Paese. Ma la spinta verso questo tipo di comunicazione viene dagli stessi esponenti della classe politica".
Parliamo del "berlusconismo"?
"È un tipo di fenomeno che sì è nato con il centrodestra, ma cui non si sottrae nemmeno il centrosinistra: si pensi a Renzi o Schlein. È un tentativo di nuova legittimazione che puntella ed amplifica le leadership. In assenzo di corpi intermedi, il leader comanda di più e non ha il problema di mediare con gli organismi dirigenti del suo partito, che si sono indeboliti.
Ma l’avere meno feed-back, meno presenza capillare sul territorio porta il rischio dell’auto-referenzialità. La politica disintermediata sembra vicina attraverso i mezzi di comunicazione, ma di fatto è lontana perché non ha articolazioni territoriali di partito ed associative che fanno da camera di compensazione con il corpo sociale".
Molti cittadini nemmeno sapevano che si dovesse votare. I mass media non fanno bene il loro lavoro di informazione?
"Il voto è un diritto- dovere. Il cittadino ci deve mettere del proprio, aver cura di seguire ciò che accade. La tendenza generalizzare a stare sulle piattaforme e i media sociali non può valere solo per organizzarsi le vacanze sciistiche o dove prendere l’aperitivo. È agghiacciante pensare che tutti pontificano sulla guerra in Ucraina o il Medio-Oriente ma c’è chi non si sa che si vota. La tendenza, grazie ai mezzi di comunicazione, è di proiettarsi su temi di portata globale molto distanti. Il dovere dovrebbe essere invece informarsi sulla vita della comunità e la politica vicina: il dibattito non può articolarsi solo tra aspettative ed attese, oppure reazione rabbiosa e rancore. L’ecosistema mediale asseconda il processo di polarizzazione, ma le possibilità di informarsi offerte sono amplissime".