
Iva Zanicchi
Iva, che giornale si leggeva a casa sua, quando era piccola ? "Mio papà Zeffiro, leggeva sempre ”il Resto del Carlino”. Era mio compito andarglielo a comprare in una specie di bar-edicola del mio paese. Mi dava i soldini e mi diceva di comprare “il Resto” e che dovevo chiedere il resto dei soldi. Ma ero così timida, ma così timida che dalla paura di entrare nel negozio, spesso tornavo a casa senza. Incredibile, ma è così". E suo padre? "Si arrabbiava e mi faceva tornare indietro". Iva Zanicchi sorride, si abbandona ai ricordi e guarda avanti: "Sto per tornare con un nuovo disco. Ci sono canzoni nuove, brani che sono nelle mie corde. E poi ho tanti altri progetti". Impossibile frenare l’entusiasmo di Iva Zanicchi. Premiata all’ultimo Festival di Sanremo per i suoi primi 60 anni di carriera, già pronta a realizzare nuovi sogni. Già, perché tutta la sua vita, ha un po’ il sapore della leggenda. Da Vaglie di Ligonchio, un “puntino” sperduto sull’appennino Tosco-Emiliano, dove è nata nel ‘40, ai palcoscenici più prestigiosi. Passando per tre vittorie a Sanremo (nel’67 con “Non pensare a me”, nel ‘69 con “Zingara” e nel ‘74 con “Ciao cara come stai”, ndr), libri, film, tour mondiali, teatro e tanta TV. Ma, soprattutto, un ruolo inattaccabile tra le Signore della canzone italiana. L’aquila di Ligonchio ha un posto tutto suo. Voce e talento indiscutibili, mixati ad un carattere forte, sanguigno, spontaneo. Torniamo ai ricordi. E lei, lo leggeva il Carlino? "Mio papà era gelosissimo delle sue cose. Lui lo leggeva tutto, da cima a fondo. Lo ripiegava come una reliquia e lo metteva sul comodino. Un giorno torna dal lavoro e dice: ’Il figlio del mio capo legge il Carlino dall’inizio alla fine!’. Si rammaricava perché noi, suoi figli non facevamo altrettanto. Mia madre gli fece notare che era lui, così legato ai suoi oggetti che non ce lo permetteva. Ecco, da quel momento, il papà ci concesse la lettura. Che meraviglia!". E oggi? "Leggo un po’ di tutto. Ascolto tutti i tiggì. Sul Carlino, cerco soprattutto le notizie legate alla mia Emilia, alla mia terra, al mio paese. Sono legatissima alle mie radici". Lei ha scritto quattro libri di successo. Come si è appassionata alla scrittura? "Diciamo che mi piace molto raccontare le storie della mia gente, della mia terra, delle mie montagne. In “Nata di luna buona” (Rizzoli) ho raccontato tutta la mia storia. Fin da piccola avevo questo vezzo. Alle elementari scrissi un testo dal titolo “Il mio banco”. Fini sul giornalino della scuola. Per la prima volta in vita mia, vidi il mio nome stampato. Che gioia, non vi dico". Una carriera, la sua, fatta anche di incontri indimenticabili. Da Olmi a Sordi, da Fellini alla Magnani. Persino il poeta Ungaretti. Come avvenne quell’incontro? "A Salsomaggiore era nel mio stesso albergo. Era il 1970 e stavo girando il video di “Un uomo senza tempo”, una canzone dedicata al papà. Accettò di apparire nella registrazione. Ricordo i suoi occhi bellissimi, la sua dolcezza. Dopo le riprese, bevvi un the in sua compagnia. Mi colpirono la sua semplicità e la sua gentilezza. Un uomo così importante, un poeta straordinario. Indimenticabile". Torniamo all’ultimo Sanremo, dove le hanno consegnato il premio alla carriera. Era emozionata? "Conti è stato molto carino a chiamarmi. Ero emozionata ma il pubblico mi dà una tale energia...". In fondo, lei è una donna rock. Per carattere, temperamento, approccio alla vita. Che rapporto ha con i giovani? "Li amo alla follia. Sono circondata dai giovani. Ho due nipoti Luca e Virginia (figli di Michela) che adoro. Virginia ha una bellissima voce. Ha già inciso qualcosa ma sta studiando per diventare criminologa". È anche molto attiva sui social... "Un tempo, se mi chiedevano “Signora, lei chatta?”. Mi arrabbiavo e dicevo: "Non sono sciatta!". Oggi ho imparato ad utilizzarli. Con parsimonia e senza esagerare, ovviamente. Comunico con i fan e con tanti giovani. C’è una generazione che mi ama ancora per “Ok, il prezzo è giusto”. Lo guardavano da piccoli, con i loro nonni e se lo ricordano ancora". Iva, una carriera splendida e lastricata di successi: provi a dare un titolo a tutto ciò che ha vissuto. "Il titolo di una mia canzone: ‘Testarda io”. Questo mio carattere mi ha aiutato tantissimo a superare gli ostacoli. Sono partita da un paese in cui non c’era neanche la strada. Le dico una cosa buffa. In una delle prime apparizioni, al “Burlamacco d’oro”, il grande Giorgio Gaber, dopo avermi sentito cantare, mi chiese: “Iva, ti vieni dal Jazz?”. “No, io vengo da Ligonchio” (ride, ndr). Ho sempre desiderato vivere di musica e per fare questo devi avere carattere, non arrenderti".