REDAZIONE REGGIO EMILIA

Il martirio di don Iemmi "Se mi uccidono allora andrò in paradiso suonando il mandolino"

Il professor Giuseppe Giovannelli è il biografo del prete ucciso nel ’45 dai partigiani comunisti. L’arcivescovo ha avviato il processo di beatificazione per lui e per don Borghi, fucilato dai fascisti.

Il martirio di don Iemmi "Se mi uccidono allora andrò in paradiso suonando il mandolino"

"Non siate figli di Caino!", tuonò nella chiesa di Felina. Non uccidete i vostri fratelli. Era l’omelia della Pasqua del ’45. Don Giuseppe Iemmi, 26 anni, partigiano delle Fiamme Verdi, sapeva che quelle parole l’avrebbero esposto ad un rischio mortale. Ma scelse di non tacere.

Il professor Giuseppe Giovannelli, corresponsabile del Centro diocesano di studi storici intitolato a monsignor Francesco Milani, è autore di numerose pubblicazioni sul martirio di don Iemmi, la figura che l’arcivescovo Giacomo Morandi vuole avviare alla beatificazione insieme al più noto don Pasquino Borghi. Uno ucciso dai partigiani comunisti, l’altro dai militi della Rsi. Un chiaro disegno di riconciliazione.

Professor Giovannelli, perché quell’omelia?

"Don Iemmi era impegnato a salvare le vite. Si batteva contro le uccisioni sommarie. Accadde che nel marzo del ’45 a Felina vennero uccisi due padri di famiglia. E lui protestò in chiesa con parole chiare. Usò le stesse parole del vescovo Brettoni. Il discorso fece subito grande impressione".

E cosa accadde?

"Le donne, sul sagrato, si raccomandarono: ’don Pepo stia attento, uccideranno anche lei’".

E lui?

"Rispose: ’Bene, allora andrò in paradiso suonando il mandolino’. Era un appassionato di musica".

Poi cosa accadde?

"Il 19 aprile gli dissero che erano venuti a cercarlo due partigiani che venivano da fuori. Lui, disattendendo i consigli del vecchio parroco, andò a vedere di cosa avessero bisogno. Lo portarono via e sul Monte Fosola lo uccisero. La mamma, che stava salendo in bici da Montecchio, udì gli spari ed ebbe un presentimento. Ma sulla bara del figlio riuscì a perdonare".

Che partigiano è stato don Giuseppe?

"Fu uno amico fraterno di don Carlo Orlandini e di Giorgio Morelli, il Solitario (anch’egli ucciso da partigiani comunisti, ndr). Aveva incarichi importanti. Una volta scese a Reggio per trattare una resa di prigionieri. Si batteva per trovare aiuti per i partigiani. La mamma si faceva dare le sigarette da portare a lui e alla Resistenza".

Cosa accadde a Felina dopo l’uccisione di don Iemmi?

"Nell’estate-autunno del ’45 la Diocesi non riusciva a trovare un prete per Felina. Don Artemio Zanni, reduce dalla Germania, accettò. Fu lui a tenere viva la memoria di don Giuseppe".

Perché dopo tanti anni si fa così fatica a condannare questi orrori?

"Ci sono familiari legati al ricordo dei loro cari. E c’è sempre stato riserbo a raccontare gli episodi legati alla guerra".

Ci sarà qualcuno che chiederà perdono, come accaduto per Rolando Rivi?

"Una persona che prese parte all’uccisione regalò alla moglie un rosario. Qualcosa c’è stato, con molta discrezione".

Il beato Iemmi contribuirà alla riconciliazione?

"La memoria di don Iemmi vive sul cammino della santità ed è tutta nel segno della riconciliazione".

Andrea Fiori