di Benedetta Salsi
Francesco Maria Caruso era il presidente del collegio dei giudici del primo grado del maxi processo Aemilia di Reggio Emilia; il più grande processo contro la criminalità organizzata che si sia mai celebrato al nord Italia. Un processo che ha fatto la storia della lotta alla ’ndrangheta.
Caruso, è delle scorse ore il nuovo arresto di Antonio Gualtieri, considerato uno dei vertici del clan Aemilia: dopo aver scontato la pena l’accusa è che abbia tentato una nuova estorsione con metodo mafioso. È un segnale inquietante per il nostro territorio?
"La notizia è certamente grave. Disponiamo del comunicato della Questura da cui apprendiamo che colui che è stato uno dei vertici dell’associazione ’ndranghetista insediata in provincia di Reggio Emilia, appena scarcerato per decorrenza pena, scontata in parte in detenzione domiciliare, avrebbe tentato un’estorsione di 190mila euro, attuando il tipico metodo mafioso dell’intimidazione fondata sull’appartenenza all’associazione mafiosa da tempo insediata sul nostro territorio. Il che significa che l’associazione è tuttora presente e operante. Vorrei fare una doverosa precisazione però".
Prego.
"Per quanto riguarda Gualtieri, si tratta di un fermo ordinato dal pm in attesa di convalida da parte del giudice, che ancora non si è pronunciato. Per questa ragione dobbiamo comunque leggere al più presto i provvedimenti giudiziari, che purtroppo le recenti leggi rendono non pubblicabili. Nondimeno le esigenze di conoscenza e informazione che presiedono al lavoro della Consulta per la Legalità, ricostituita di recente per iniziativa del sindaco di Reggio Emilia, richiederebbero che l’organismo insediato presso il Comune possa averne immediata conoscenza per organizzare la prevenzione".
La domanda che sorge spontanea, alla vigilia del decimo anniversario degli arresti di Aemilia, è se sia servito questo processo e se certi fenomeni si stiano ancora sviluppando sottotraccia.
"I processi ovviamente servono, quando raggiungono il risultato di accertare fatti e responsabilità, comminando giuste pene. La recidiva dimostra il fallimento della pena come rieducazione. Nel caso dei reati di mafia si ha l’ennesima conferma che vi è un solo modo per ottenere la prova della rieducazione: l’ammissione di responsabilità, la confessione e la chiamata in correità. Come sottolinea il senatore Scarpinato, un mafioso che non confessa, non parla e non denuncia, continua a condividere il valore dell’omertà e si fa riconoscere come attuale membro dell’organizzazione".
Molti dei protagonisti di Aemilia in questi mesi sono stati scarcerati o stanno per esserlo. C’è qualche rischio concreto in questo senso di ricostituzione della rete criminale reggiana?
"Non c’è dubbio che i mafiosi non pentiti, scontata la pena e scarcerati riprendono il loro posto nelle fila dell’organizzazione, rinsaldando la rete criminale. Rimango convinto dell’antica tesi che dall’organizzazione si esce definitivamente solo con la collaborazione".
Nel suo recente intervento, all’insediamento della consulta per la legalità del Comune di Reggio, di cui farà parte, lei ha ripercorso le tappe del maxi processo e ha lanciato un allarme: ’Gli anticorpi che non hanno funzionato in passato possono essere recuperati se si fa tesoro dell’esperienza e con una vigilanza rigorosa contro ogni processo di rimozione’. C’è questo rischio?
"Dopo Aemilia la consapevolezza di cosa sia e come funzioni la mafia è diventata patrimonio comune. La Consulta per la Legalità ha tra i suoi compiti di controllare con la massima attenzione i nuovi movimenti e fenomeni criminali. Se le premesse saranno attuate, la società reggiana non sarà più colta di sorpresa dalla presenza della mafia e potrà contrastarla efficacemente. Bisognerà controllare tutte le manifestazioni criminali, seguirle, dare protezione alle vittime, dare sostegno all’autorità giudiziaria, sia alla Procura della Repubblica che al Tribunale, battendosi contro ogni tentativo di separare la magistratura per indebolirla e intimidirla. Il pericolo più grave è che la cosiddetta ’riforma della magistratura’ incoraggi la ricostituzione delle organizzazioni criminali perché il clima odierno è quello di una lotta magistratura più che alle organizzazioni mafiose".
Che cosa può fare la società, dunque, per contrastare il fenomeno mafioso?
"Sostenere la magistratura nel suo difficile compito di applicazione della legge uguale per tutti; sostenere la polizia giudiziaria; informarsi, seguire la cronaca, denunciare, fidarsi dello Stato-ordinamento e soprattutto convincersi che le istituzioni di garanzia esprimono la sovranità popolare non meno delle istituzioni elettive".