Reggio Emilia, 1 settembre 2023 – Cambio manuale, anni Cinquanta. Scala la terza marcia, accelera, scala la quarta, spingi, fai aderire le gomme. Campo visivo allargato a spaziare sull’infinito e oltre. Quanto dev’essersi divertito Adam Driver nelle scene iniziali di ‘Ferrari’, a usare la riproduzione di quel cambio datato 1957, sgommando fuori dalla casa dell’amante del Drake, Lina Lardi. Mai quanto però in quel fulgido, sgranato bianco e nero ricreato dai filmati d’archivio, a esaltare le imprese del giovane pilota modenese. Spavaldo, elettrizzato, lo vediamo nell’atto di superare un rivale e andarsi a prendere gli allori. È questa la sequenza di apertura scelta da Michael Mann per ripresentarsi al pubblico veneziano, nel suo ultimo film passato ieri alla 80ª Mostra del Cinema, in corsa per il Leone d’Oro (l’uscita prevista nelle sale è ballerina, si parla di 30 novembre o del 25 dicembre).
Un film ‘alla Mann’, con una formidabile direzione degli attori, a cominciare da Adam Driver nel ruolo del titolo, che brilla in una interpretazione degli anni più cupi e irrisolti di Enzo, quelli in cui dovrà dar fondo a tutta la sua indistruttibile forza di carattere e lungimiranza imprenditoriale per uscire da una angosciante crisi finanziaria a pochi passi dal fallimento. Talenti che Driver mostra di possedere come fossero i suoi, esibendo quelle smorfie del Drake che solamente gli intimi sapevano capire: adirato, sarcastico o felice? E dove li ambienta, in parte, questi anni difficili il regista americano? Nella nostra Reggio, negli interni del civico 122 di via Emilia San Pietro, rispondenti a un criterio di sobrietà che caratterizzava quel periodo della vita dell’ingegnere, oppresso dai guai finanziari.
È qui che AdamEnzo Ferrari dovrà fronteggiare le crisi con la moglie Laura, e che respingerà gli attacchi dell’anaffettiva madre Adalgisa. È un film sull’uomo, Ferrari, e sulle alterne fortune della vita, ma soprattutto è un film sulle avversità e la capacità di superarle. Da parte di un fuoriclasse, che può essere preso a modello di coriacità e padronanza del rischio. Se a Modena l’ingegnere svilupperà i suoi modelli vincenti, che vediamo sfrecciare sotto i portici nelle riprese mozzafiato della Milla Miglia del cineasta di Chicago, dove sembrano più rossi del solito, sporcati dal rosso Ferrari.
Un rosso irriproducibile, esattamente come il motore. Il suo suono. Un suono pari a una carezza, dicono gli appassionati. È però nelle riprese reggiane che Mann mira a rappresentare quel momento della svolta e della progettazione che arriverà a detonare nella testa piena di idee come un motore a scoppio, del grande modenese. È una corsa ad ostacoli, come la vita, Ferrari. Però su strada, dove si officiano riti diversi, più smargiassi. Non aggirabili. Un mondo tipicamente maschile, siamo negli anni Cinquanta, che nel cinema virile di Mann vanno a pennello, tuttavia capace di riservare sorprese. Imprevisti. Se infatti il deus ex machina è uomo, i conti in casa e in azienda qui li tiene una donna. Laura, la moglie. Penélope Cruz, che i modenesi hanno imparato a conoscere l’anno scorso, pettinata e vestita nella moda dell’epoca, incarna una donna risoluta, all’assalto di un business tutto maschile con ferocia assassina
La storia di Ferrari è dolorosa, irta di difficoltà, ed è esattamente in queste pieghe che Mann affonda il coltello della cinepresa. Con tecniche di ripresa e stile inconfondibili, diventati nel tempo suo marchio di fabbrica, e con i quali alterna in un dialogo perfettamente bilanciato vita pubblica, imprese sportive e vita privata dell’industriale modenese. Enzo, nello sguardo di Mann, è sangue vivo, vita pulsante, tragedie (la perdita di un figlio, del fratello), ma anche personalità speronante, capacità di ripresa. Come le macchine che progetta e che adora guidare sulle strade normali, scalando le marce. "Hanno creato per noi, per me, dei modelli personalizzati da corsa – confessa il protagonista Adam Driver, alto uno e novanta centimetri– e no, non ho guidato io le automobili. Erano terrorizzati che potessi toccare lo sterzo o un qualsiasi altro pezzo di una vera Ferrari", ha detto ai giornalisti divertiti. Una autentica gioia per gli occhi, e per le orecchie, le sequenze iniziali con Adam Driver – performance mimetica la sua, dalle smorfie allo sguardo in tralice allo spirito indomito spalmato sul suo metro e 90 di altezza. Solamente l’abbrivio di un lungometraggio che si avvale del montaggio serrato e nerboruto di Pietro Scalia, tecnico della squadra di Michael Mann dagli inizi, e della fotografia di Erik Messerschmidt.
L’alternanza perfettamente bilanciata e compatta delle scene pubbliche con quelle di ambito privato sono opera loro. Pilota nella vita e collezionista di auto d’epoca, Patrick Dempsey ha amato interpretare un ruolo che lo ha messo a contatto con il rischio che comporta la velocità estrema, in tempi in cui i sistemi di sicurezza lasciavano molto a desiderare. Ma c’è una figura, nel cinema maschio e virile di Mann, che si prende la scena in molte occasioni e la domina, al pari del Drake se non di più. È quella di Laura, la moglie, interpretata con coraggio e furia assassina da Penelope Cruz. Capace di tener testa anche alla terribile suocera Adalgisa, è lei la metà di Ferrari, anche nei momenti di crisi. Non dimentichiamolo mai. E per ritemprarsi dalle fatiche di interpretare una donna così caparbia, Penélope ha scelto l’anno scorso una locanda reggiana, La Concia. Una delle prime ospiti del luogo di accoglienza reggiano. Intanto qui, i fan adorano e delirano. "Novellara? Where is it?", chiedono. "Un paese vicino Reggio", specifica un critico francese. "Oh, se vedo l’autodromo di Imola io urlo", sbotta uno spettatore innamorato del cavallino rampante...