Una disperata richiesta d’aiuto dal Pakistan a Reggio Emilia. Una storia di terribili violenze contro una donna e i suoi tre bambini piccoli. Storia che, grazie alla forza di questa mamma, che ha spedito una mail e fatto una telefonata, e al gioco di squadra tra istituzioni, forze dell’ordine e professionisti del settore, ha un epilogo che vede lei e i piccoli al sicuro in una comunità segreta e protetta in Italia. Al marito, 42 anni, è stato applicato il braccialetto elettronico. La famiglia pakistana (peraltro i coniugi sono cugini tra loro) aveva vissuto per un periodo a Reggio, poi si era trasferita nel suo Paese d’origine. Le violenze fisiche e psicologiche, sia verso la donna (botte, frustate e cinghiate sulla schiena, minacce di morte) che verso i figlioletti (picchiati anche loro), erano iniziate già in Italia, ma in Pakistan la situazione è degenerata. Alcune settimane fa, ai servizi sociali del Comune di Reggio e agli ex insegnanti dei figli della coppia sono arrivata segnalazioni da questa donna: diceva chi era e raccontava, in un mix di inglese e italiano, quanto le stava capitando. Riferiva di percosse continue, frustate sulla schiena, torture psicologiche, minacce di morte a lei e ai bambini. E, a riprova del suo racconto, allegava delle foto: aveva lividi su tutto il corpo. Il marito, ha detto, aveva anche provato a ucciderla. Lei si era rivolta, invano, alla polizia locale e, incubo dentro l’incubo, si è trovata contro tutti i parenti, che hanno considerato la decisione di lei di denunciare il marito un’offesa imperdonabile all’onore familiare. Arrivata la segnalazione in Italia, sono state quindi attivate subito le forze dell’ordine ed è così iniziata una grande operazione di collaborazione internazionale, caso più unico che raro, che ha visto coinvolti, tra gli altri, Procura, polizia, assistenti sociali, centro antiviolenza, insegnanti, Ambasciata italiane e Interpool. Il pm Maria Rita Pantani ha delegato la polizia a contattare la donna in videochiamata: il suo racconto è stato confermato. La donna era terrorizzata per l’escalation di violenza dell’uomo. Tra l’altro, ha riferito, il marito aveva sequestrato i loro documenti validi per l’espatrio e quindi lei e i figli non potevano tornare in Italia. Sono state attivate le procedure di collaborazione internazionale e in poco tempo la donna e i figli hanno ottenuto nuovamente i documenti per l’espatrio, riuscendo così a far rientro in Italia: sono stati inseriti in un programma di protezione e sono al sicuro in una comunità protetta. E venerdì mattina il 42enne è tornato in Italia: voleva raggiungere la donna e i tre bimbi, "per risolvere le controversie con mia moglie", ha detto l’uomo.
Ma ad attenderlo all’aeroporto di Bergamo ha trovato gli agenti di Reggio, informati dai colleghi di Orio al Serio che l’uomo era tra i passeggeri di un volo in arrivo dal Pakistan: è stato raggiunto dagli operatori dai poliziotti che hanno dato esecuzione all’ordinanza: hanno ribadito il divieto di avvicinarsi ai suoi familiari e di comunicare con loro attraverso qualsiasi mezzo. È stato anche applicato il braccialetto elettronico, così i movimenti del 42enne saranno monitorati dalla polizia. Tutto questo è stato possibile grazie al coraggio della donna. "Ci ha scritto una mail dal Pakistan – ricostruisce Germana Corradini, assistente sociale e dirigente dei Servizi sociali di Reggio Emilia –, in un mix di italiano e inglese. E ha allegato le foto. Si vedevano lividi ovunque. Ci ha fatto capire che era tenuta prigioniera in casa, insieme ai bimbi. Ricordo molto bene quel giorno, ha avuto un forte impatto emotivo su tutte noi in ufficio. C’era una persona che ci chiedeva aiuto dall’altra parte del mondo. Subito, ci siamo sentite impotenti, non sapevamo cosa fare. Ma poi abbiamo attivato le forze dell’ordine e la cosa sorprendente è stata che nel giro di pochissimo c’è stato un riscontro. Ci hanno detto che la donna sarebbe stata portata a Reggio, noi eravamo a disposizione per collaborare al momento dell’arrivo in modo che non fosse sola. Contributo essenziale è arrivato dal centro antiviolenza gestito dall’associazione Nondasola e anche dalla Caritas. Appena arrivata, assieme ai suoi bimbi, questa donna ha ricevuto un grande abbraccio di accoglienza – racconta Corradini –. Per lei abbiamo attivato una intera èquipe. E la rete, composta da professionisti, istituzioni, forze dell’ordine, ha funzionato. L’azienda sanitaria ha provveduto agli accertamenti e alle cure".
Una cosa così non capita tutti i giorni. "Succede raramente. Tempo fa, ad esempio, una ragazza mi ha scritto direttamente, diceva che era segregata in casa, siamo andati a prenderla con le forze dell’ordine. Ma qui era ancora più difficile, c’era di mezzo la distanza. Non ci immaginavamo un’attivazione così veloce. Un plauso a tutti i coinvolti". Ora, dice Corradini, "questa mamma comincia a ricostruire una vita con i bimbi. Il nostro percorso con lei è ancora lungo, avrà bisogno di sostegno e noi ci saremo, perché sia serena e autonoma". Un punto importante: "Se questa donna, che in passato a Reggio aveva avuto a che fare con noi ma per altre ragioni, ci ha scritto ora, è perché si fidava. E siamo riusciti a metterla al sicuro. Per lei e i piccoli c’è anche un supporto psicologico, con mediatori culturali. Se le donne chiedono aiuto – il messaggio di Corradini –, ad attenderle c’è una rete di servizi, che funziona. È fondamentale fidarsi, chiedere aiuto il prima possibile, soprattutto se ci sono dei figli. Noi poi cerchiamo sempre di collocare mamme e bimbi insieme".