di Alessandra Codeluppi
"Aveva il cranio spaccato in due, traumi sul corpo e tracce di sangue".
Disteso sul letto della sua casa di via Stalingrado, così fu ritrovato, il 16 giugno 2021, il 51enne Aniello Iazzetta, originario di Afragola (Napoli), la cui morte violenta, secondo le indagini, risaliva a quattro giorni prima.
A descrivere la scena del crimine è il pm Valentina Salvi, durante la prima udienza davanti alla Corte d’Assise, presieduta da Cristina Beretti, a latere Michela Caputo e i membri popolari. L’imputato è lo slovacco Milan Racz, 35 anni, che da sempre si proclama innocente. Il pm non ha dubbi e anche ieri lo ha ribadito: "È lui il responsabile della sua morte".
Il 35enne deve rispondere di omicidio aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi. Sul movente, però, è ancora giallo: il pm non si è espresso, annunciando che emergerà dai testi da lei citati. In passato si era parlato di gelosia, che i familiari della vittima non ritengono però plausibile.
"Iazzetta, dedito all’alcol, ospitava in casa persone senza fissa dimora e con prededenti, in cambio di pochi soldi – ha raccontato ieri il pm –. Aveva accolto anche Racz e la sua compagna".
Quest’ultima era stata indagata a piede libero per favoreggiamento; poi la sua posizione è stata stralciata. Il pm annota che, a seguito del sopralluogo post delitto, risultavano "mancare le chiavi di casa". Poche ore dopo la scoperta del cadavere, Racs venne fermato al porto della Spezia, in compagnia della fidanzata, "vicino a un parco imbarchi per la Sardegna. Con sé – ha rimarcato ieri il pm – aveva le chiavi di Iazzetta".
Tra i testi dell’accusa, ci sono gli agenti della questura che riferiranno "su due telefonate precedenti l’omicidio e alcune visite", mentre i carabinieri, tra le altre cose, "sui tabulati telefonici di Racz e i suoi spostamenti". I militari del Ris si soffermeranno invece "sul Dna dell’imputato, in particolare su alcuni tamponi". Il medico legale, "sulla violenza fatta al cadavere e il suo stato di ebbrezza".
Citati come testimoni della Procura altre due persone: oltre a un uomo che abitava in soffitta, e diede l’allarme, compare Maurizio Carbognani, già protagonista di un’altra vicenda di cronacs reggiana. Fu condannato dalla Cassazione a 6 anni per omicidio preterintenzionale al ‘Catomes Tot’ dove, il 7 febbraio 2010, aggredì, facendolo cadere, l’82enne Nerino Medici, morto dopo dieci giorni di ricovero.
L’avvocato difensore di Racz, Ernesto D’Andrea, ribadisce ai giornalisti che il suo assistito "si proclama innocente": "È vero che i due hanno convissuto, ma bisogna capire chi ha commesso l’omicidio". Ai giudici presenta una lista di testi "molto composita". Solleva dubbi sull’impianto accusatorio: "Bisogna anche verificare l’attendibilità del testimone oculare". Il riferimento implicito è a Carbognani.
"La Procura vuole andare in una certa direzione, ma ci sono testimoni che hanno conosciuto bene Racz". Annuncia di citare diversi medici, reggiani e anche spezzini, nonché il consulente di parte. Pronta dunque una versione alternativa a quella della Procura, per una vicenda i cui nodi ancora misteriosi saranno man mano dipanati in aula.