Saman è stata uccisa perché si è ribellata a un matrimonio forzato, in patria, con un cugino. Questo dice l’accusa. Uccisa perché ribelle, libera, felice di amare chi aveva scelto, sognando di prendere la patente e lavorare come cameriera; felice nei suoi jeans strappati, nelle magliette corte che lasciavano l’ombelico scoperto, con la sua cavigliera d’argento e i suoi video su TikTok. Il processo davanti alla Corte d’Assise di Reggio riprenderà l’8 settembre prossimo, dopo la pausa estiva. Sono già state fissate sette udienze: ancora il 15, il 22 e il 26 settembre, poi il 3, il 13 e il 20 ottobre, quando dovrebbe essere attesa la sentenza.
Nel mezzo, sono fissati in calendario alcuni momenti salienti di un processo che sta segnando la storia sociale e culturale del nostro Paese, ne sta cambiando le leggi e lo sta ponendo davanti al drammatico confronto con l’integrazione delle seconde generazioni e i matrimoni forzati.
Al banco dei testimoni è atteso il fratello di Saman, nel frattempo diventato maggiorenne. "Ho visto solo Danish Hasnain. Ha detto a mia mamma e mio papà: ‘Ci penso io, eh... voi andate via’. Poi ha dato lo zaino di mia sorella: ‘Mettete fuori tutte le cose, poi mette in un armadio dove non ti trovano carabinieri queste cose’. Poi mio papà ha portato a casa lo zaino". E ancora: "Ho visto Danish mettere una mano sulla bocca di Saman". E il cugino Hasnain gli ha detto: ‘L’ho uccisa. Tua sorella è... Non dire ai carabinieri’", aveva raccontato il giovane in preda ai rimorsi per aver contribuito a rivelare ai genitori la relazione della sorella Saman con Saqib. In forse, invece, la testimonianza dello stesso Saqib, chiesta da alcune difese.
Si attende anche la relazione dei periti sull’autopsia effettuata sul cadavere: ancora infatti non sono state chiarite le cause del decesso e la dinamica del delitto.
Infine, nel caso dovesse perfezionarsi l’estradizione di Shabbar, anche lo stesso Abbas potrebbe essere finalmente ascoltato in aula.
Benedetta Salsi