Profitti delle aziende metalmeccaniche alle stelle, stipendi delle tute blu alle stalle. A fronte d’un aumento record del fatturato e degli utili nell’ultimo quinquennio, il costo del lavoro cresce più lentamente: le imprese staccando dividendi da favola, mentre le risorse che entrano nelle tasche dei dipendenti sono in calo.
Emerge da una corposa analisi effettuata dalla Fiom Cgil sui bilanci di 1041 aziende metalmeccaniche reggiane, che dal punto di vista del valore della produzione rappresentano oltre il 90% di tutto del settore a livello provinciale. Lo studio è stato svolto sul periodo 2018-’22, e quindi comprende anche i mesi peggiori della pandemia da Covid, da cui le imprese escono a testa alta e, pare dai numeri, tasche piene. Non così i loro 38mila lavoratori, penalizzati dai salari al palo e dal costo della vita, unico indicatore in crescita nei bilanci di molte famiglie.
"L’analisi che abbiamo svolto dice che anche nel 2022 è stato un anno di crescita importante nei profitti, e questo garantisce la possibilità alle imprese di dare aumenti record ai metalmeccanici in occasione del prossimo rinnovo del contratto nazionale", sottolineava ieri Simone Vecchi, segretario generale Fiom Cgil Reggio, illustrando il dossier insieme a Matteo Gaddi del Centro studi della Camera del Lavoro reggiana.
Nella trattativa nazionale, tra le richieste un aumento lordo di 280 euro in busta paga. L’analisi serve anche a spuntare le armi della controparte datoriale: "Non v’è dubbio che siamo all’interno di una congiuntura economica negativa; qualche azienda sta anche prendendo la cassa integrazione. Ma riteniamo che questo non possa essere strumentalizzato dalle imprese, da Federmeccanica, da Confindustria. A fronte di qualche mese di difficoltà, c’è un decennio di record di profitti".
Le cifre sono chiare: negli anni 2018-’22 il fatturato totale (valore della produzione) ha registrato +39,42%; il valore aggiunto: +34,15%; gli utili sono saliti del 60,74% mentre il costo del lavoro cresce solamente del 18,40%.
Non cambia la situazione se ad essere preso in esame è proprio il "valore aggiunto" (la ricchezza prodotta in azienda) e si valuta come viene distribuito tra lavoratori ed impresa o, per dirla con gergo marxista, tra Lavoro e Capitale.
Il margine lordo (Ebitda) in quattro anni è salito di 8 punti % (dal 37,92% al 45,94%) del totale; l’utile netto è cresciuto di 4,5 punti% (dal 22,69,% al 27,18%). Le risorse che invece vanno al Lavoro (inclusi, il Tfr, i contributi Inps ed Inail, ecc) è invece di -7 punti% (dal 60,32% al 53,24%).
Tutte le associazioni di categoria avevano indicato il 2022 come un anno di riduzione dei margini a causa dei rincari energetici (esplosi a metà anno a causa delle speculazioni finanziarie sul costo del gas, in relazione alla guerra in Ucraina) e l’aumento dei prezzi delle materie prime (a loro volta legati anche ai prezzi energetici). Secondo l’analisi della CdL tuttavia contano poco gli aspetti inflattivi e dell’aumento del costi di produzione: "Sicuramente - dice il segretario - per le imprese c’è stato un aumento percentuale sul valore della produzione del costo delle materie prime, poco meno di 4 punti percentuali, dal 55,69% del 2018 al 59,21% del 2022, perché su esse si scaricano i costi ad esempio della siderurgia - settore in cui invece i rincari energetici sono stati importanti. A Reggio peraltro la siderurgia rappresenta una parte minima del settore… L’aumento del costo dell’energia - gas ed elettricità - nel corso del 2022, che è stato denunciato da tutti, ha molto inciso sui bilanci familiari ma poco sui bilanci e i profitti, la marginalità delle imprese. Addirittura i costi diretti sono calati di 1 punto percentuale".
Ed aggiunge e conclude: "I lavoratori e le lavoratrici hanno perso potere d’acquisto. Ma per le aziende il 2022 ha superato il 2021 sul piano dei profitti, che a sua volta ha superato l’anno d’oro del ventennio che è stato il 2018".