BENEDETTA SALSI
Cronaca

Eternit, 52 morti: inchiesta archiviata. "Non si può dimostrare la colpa del datore di lavoro"

Nello stabilimento di Rubiera la produzione delle lastre è durata dal 1960 al 1992. Nei tribunali di Napoli, Torino e Novara sono invece arrivate le condanne per Schmidheiny.

Una delle commemorazioni davanti alla lapide posta nel parco di Rubiera

Reggio Emilia, 7 settembre 2023 – "Ai lavoratori Eternit di Rubiera, Casale Monferrato e a tutte le vittime dell’amianto".

La targa nel parco dei Paduli dista circa un chilometro dal luogo in cui sorgeva la Icar spa, poi divenuta ’Industria Eternit Reggio Emilia spa’ sulla via Emilia che attraversa Rubiera. Davanti a quel cippo, piantato nella terra nel 2019, ogni 28 aprile sfilano i parenti delle vittime e gli attivisti dell’associazione Afeva, che da decenni si batte per avere giustizia. Quello che non sapevano, ancora, è che il tribunale di Reggio Emilia – a inizio 2021, nel pieno dell’emergenza Covid – ha archiviato, su richiesta della procura, il fascicolo aperto per il reato di omicidio colposo a carico di Stephan Ernst Schmidheiny (ultimo proprietario dell’azienda) e Luigi Giannitrapani (ex ad dell’Eternit di Rubiera) riguardo 52 morti reggiane sospette fra il 1985 e il 2014. La produzione di lastre di amianto a Rubiera è stata attiva dal 1960 al 1992, quando una legge l’ha messa al bando in tutta Italia.

LE ORIGINI

L’inchiesta era scaturita da un esposto presentato dal primo cittadino di Rubiera, Emanuele Cavallaro appena prima dello spacchettamento in quattro parti del processo ’Eternit bis’ da parte della magistratura di Torino, nel 2016, dopo che l’imputazione era stata derubricata (escludendo il dolo) da omicidio volontario a colposo. I fascicoli vennero dunque inviati alle procure di competenza in cui avevano sede gli stabilimenti Eternit: Cavagnolo (Torino), Bagnoli (Napoli), Casale Monferrato (Vercelli) e Rubiera (Reggio Emilia).

Inchieste che hanno poi preso, però, destini molto diversi: il 23 maggio 2019 a Torino Schmidheiny è stato condannato a 4 anni per il decesso di due ex lavoratori di Cavagnolo; un’altra sentenza a un anno e 8 mesi è arrivata sempre a Torino il 16 febbraio scorso per un altro lavoratore; il 6 aprile 2022 la Corte d’Assise di Napoli ha condannato l’imprenditore svizzero a 3 anni e 6 mesi per l’omicidio colposo di uno degli operai deceduto a causa di prolungata esposizione all’amianto; il 7 giugno scorso la Corte d’Assise di Novara ha condannato sempre Schmidheiny a 12 anni di carcere, per la morte di 392 persone a Casale Monferrato.

Lo stralcio reggiano contava due vittime, cui se ne sono aggiunte altre 50 con l’esposto presentato dal sindaco Cavallaro. Un elenco lungo 52 vite, ognuna con la propria storia di lavoro e fatica, ma tutte terminate nello stesso tragico modo: 23 di loro sono morti per varie forme di tumore ai polmoni, 21 per mesotelioma, altri 4 per patologie non neoplastiche dell’apparato respiratorio che secondo il consulente di parte però sono legate all’esposizione all’amianto; gli ultimi per altre patologie. Uomini e donne che hanno lavorato nello stabilimento o, semplicemente, abitavano nel Comune di Rubiera, anche lontano dalla fabbrica. In quelle pagine, che somigliano a una ’spoon river’ dei decenni trascorsi, ci sono sintetizzate le mansioni, la durata del lavoro e le cause della morte di tutte quelle 52 persone. C’è chi era addetto alla fornace, chi operaio semplice, chi faceva le lastre, chi preparava le colate o gli impasti dell’amianto, ma anche impiegati tecnici, la moglie del custode che abitava all’interno dell’area, il facchino, l’ingegnere del reparto commerciale. A Reggio, però, il processo non è nemmeno partito ed è stato archiviato.

L’ARCHIVIAZIONE

Il dispositivo, firmato dal giudice per le indagini preliminari Luca Ramponi, è di gennaio 2021 e accoglie l’articolata richiesta di archiviazione presentata nel dicembre 2020 dal sostituto procuratore Giulia Stignani (ora a Modena). "Il problema riguarda l’accertamento del nesso di causalità tra una malattia lavorativa quale il mesotelioma o il carcinoma polmonare e la condotta del datore di lavoro (o in generale del responsabile dell’esposizione) quando la persona offesa abbia subito esposizioni alternative, riferibili a soggetti che negli anni precedenti hanno rivestito la posizione di datori di lavoro", dice il magistrato. Molti dei deceduti, per esempio, erano anche accaniti fumatori. E aggiunge: "Certamente l’esposizione all’amianto è stata massiccia nello stabilimento di Rubiera per tutti gli anni ‘60 e ‘70, quando i datori di lavoro (tutti ormai deceduti) erano Beltrami (1960-62), Revello (1962-66), Marchetti (1966-74), Re (1974-77) e Fantuzzi (1977-80". Ma, per i due indagati viventi, "nell’impossibilità di stabilire quale delle condotte sia stata causalmente determinante nella genesi e nello sviluppo, sino a induzione completata della malattia, non è possibile pervenire a un giudizio di responsabilità".

Per le stesse ragioni Giannitrapani venne già assolto dal tribunale di Reggio nel 2017, per la morte di Dorando Cottafava.

Una richiesta di archiviazione dettagliata e complessa, che cita anche gli studi dell’Istituto Superiore di Sanità del 2000 e del 2002 sulla distribuzione geografica dei decessi per tumore maligno della pleura nei comuni italiani che "non includono il comune di Rubiera tra quelli in cui la mortalità osservata superava significativamente quella attesa". In sintesi – dice il pm – "la documentazione disponibile non mette in rilievo un eccesso di tumori della pleura nei residenti nel comune di Rubiera". E, conclude: "Ogni tentativo di risalire al momento dell’innesco sulla base di astratte ricostruzioni fondate sulla media dei periodi di latenza sarebbe destinato a fallire in quanto allo stato delle attuali conoscenze privo di qualsiasi fondamento scientifico".