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Estorsione: il ribaltone in tribunale. I due imputati diventano le vittime

I legali di padre e figlia, assolti dal giudice De Luca: "Chiederemo i danni per sfruttamento di lavoratori"

Estorsione: il ribaltone in tribunale. I due imputati diventano le vittime

di Alessandra Codeluppi

Da imputati a vittime. È il ribaltone che potrebbe profilarsi per padre e figlia: arrestati per estorsione al socio di un’azienda di Brescello, ieri sono stati assolti dal gup Dario De Luca all’esito del rito abbreviato. Secondo la difesa di Antonio Iannello, 55enne di Guastalla, e della figlia Maria Iannello, 26enne di Cadelbosco, la vicenda sarebbe frutto di una vessazione verso il padre lavoratore. In base all’iniziale tesi investigativa, il 55enne "interruppe in modo conflittuale il contratto di lavoro indeterminato con la ditta", di cui era stato dipendente fino al 15 settembre 2021 come corriere. Poi "aveva proseguito la collaborazione con la società attraverso la gestione materiale di consegne di beni comprati da terzi". In questa situazione "acquisì ingente documentazione fotografica sui numerosi incassi in nero da lui gestiti per conto dell’azienda".

L’uomo viene accusato di "aver minacciato un rappresentante della ditta di divulgare i documenti compromettenti per l’azienda se non gli fosse stato consegnato denaro". Nell’incontro del 25 settembre 2021 "le minacce furono poi rafforzate dalla figlia". Poi il socio "decise di consegnare la somma, quantificata prima in 50mila euro e poi ridotto dall’imputato a 30mila, in cambio dello stop alle minacce e tramite consegna della chiavetta coi documenti". Così fu concordato un appuntamento la sera del 14 ottobre 2021 vicino all’azienda: "Il padre si fece accompagnare in auto dalla figlia e ricevette una busta con 30mila euro".

Ma nel frattempo la ditta aveva denunciato tutto, e all’incontro del 14 ottobre si presentarono pure i carabinieri, che sequestrarono contanti e chiavetta e arrestarono padre e figlia. I due furono inizialmente portati in carcere, poi il Riesame li rimise in libertà per carenza di gravi indizi. L’iniziale versione accusatoria ieri è stata parzialmente rivista dal pm, che ha chiesto di riqualificare l’accusa di estorsione in esercizio abusivo delle proprie ragioni, con condanna a 6 mesi per l’uomo e 4 mesi per la donna. Dalla difesa è emersa una ricostruzione del tutto diversa. Secondo gli avvocati Matteo Iotti e Cristina Reda, che tutelano il 55enne, all’uomo era stato chiesto di licenziarsi e il lavoratore aveva domandato una buonuscita, che sarebbe stata concordata in 30mila euro, anche se non risulta un accordo scritto. Poi l’uomo si è dimesso, ma i soldi non gli furono stati versati e gli incontri avrebbero dovuto portare a una risoluzione.

"Questa vicenda configura un caso di sfruttamento di un lavoratore – commentano i due legali – . Valuteremo di chiedere i danni". La donna è assistita dall’avvocato Antonella Corrente. A fine udienza padre e figlia si sono sciolti in lacrime e abbracciati. Si sono costituiti parti civili il socio al centro dell’episodio e l’azienda tramite gli avvocati Gianluca Vinci e Gabriele Pignagnoli. "Non concordiamo con l’impostazione finale del pm: per noi si trattò di estorsione – dichiara Vinci –. Non risultano dagli atti di indagine rivendicazioni salariali, questione emersa solo dopo la denuncia. Ci riserviamo di chiedere alla Procura di fare appello o di presentarlo noi stessi".