ALESSANDRA CODELUPPI
Cronaca

Entra in casa e inizia a palpeggiarla. A processo per violenza sessuale

La vittima, una 46enne, avrebbe aiutato l’uomo e la sua famiglia. "Quella sera mi strinse, ero sotto choc"

Entra in casa e inizia a palpeggiarla. A processo per violenza sessuale

Il giudice Cristina Beretti

Lei avrebbe aiutato un uomo, che abitava con moglie e figli nello stesso condominio dove anche la donna si era trasferita nel 2019. Ma lui le avrebbe fatto avances insistenti. E poi, una sera, sarebbe entrato di forza in casa di lei, per poi costringerla a subire palpeggiamenti. Dopo quel fatto, lei ha detto di non essersi sentita tutelata. L’uomo, un 44enne, figura ora a processo per violenza sessuale, difeso dall’avvocato Giacomo Fornaciari: "Il mio assistito – dichiara – nega tutti gli addebiti". Davanti al collegio dei giudici, presieduto da Cristina Beretti, a latere Giovanni Ghini e Silvia Semprini, ieri è stata ascoltata la donna, una 46enne che si è costituita parte civile affidandosi all’avvocato Elena Giovanardi. Di origine egiziana, con la cittadinanza italiana, titolare di un’azienda, si è presentata in aula sfoggiando un elegante tailleur e una conoscenza perfetta della nostra lingua (si è laureata nel nostro Paese). Risponendo dapprima al pubblico ministero Francesco Rivabella Francia, ha raccontato che, una volta trasferita in quel palazzo, in città, lui le chiese aiuto per qualche incombenza, come compilare moduli per l’iscrizione dei figli a scuola. Poi il 44enne le avrebbe chiesto di assumere in uno dei cantieri a Modena un giovane africano volenteroso: lei lo fece, ma poi il rapporto lavorativo si interruppe perché l’assunto non rispondeva alle esigenze aziendali. L’uomo avrebbe cominciato a rivolgerle attenzioni particolari: "Anche se vivo da tanti anni in Italia, abbiamo una cultura molto diversa. Mi sfogai con mia sorella. Lui era sposato, la moglie portava il velo. Mi sembrava strana la sua insistenza a volermi vedere. Mi chiedeva se potevamo uscire o fare un weekend insieme. Io gli dissi che lui aveva frainteso la mia disponibilità ad aiutare la sua famiglia e che non doveva più farsi vivo. Lui mi disse che avevo capito male e mi cercò per messaggio o al telefono". La donna ha poi consegnato le chat alla polizia di Stato. L’episodio al centro dell’imputazione avvenne il 3 febbraio 2022: "Ero rientrata dal lavoro, stavo aspettando mio figlio che mi aveva detto che sarebbe tornato presto a casa e stavo preparando la cena intorno alle 19.30 – ha raccontando la donna –. Quell’uomo mi scrisse che voleva venire da me un attimo e mi chiamò più volte. Io gli risposi di rinviare al giorno dopo. Sentii suonare alla porta: pensavo fosse mio figlio, invece era lui. Entrò facendomi arretrare e chiuse la porta. Mi disse che per lui ero diventata un pensiero fisso. Io indietreggiai fino al muro, lui mi strinse con le braccia e cercò di baciarmi. Gli dissi che stavo sbagliando, che siamo musulmani e che c’era sua moglie sotto. Ero sotto choc. Mi trascinò sul divano, cercò di allargarmi l’accappatoio e mise le mani nelle parti intime. Nel frattempo mi baciava sul labbro facendomi talmente male che iniziai a piangere. Poi ho chiesto a voce alta che si allontanasse, sperando che qualcuno sentisse". Per il morso sul labbro alla donna è stata formulata una prognosi di 5 giorni. La donna allertò il fidanzato, che arrivò e suonò al 44enne. Nel frattempo arrivò anche la polizia, allertata non dalla vittima, ma dal suo presunto aggressore: "Gli agenti capirono che i fatti non stavano così". Lei racconta di essersi trasferita per un po’ in un’altra città: "Avevo paura di stare lì, perché lui non fu allontanato e stava con la famiglia". La donna raccontò l’accaduto solo alla madre: "Un giorno io e lei incrociammo la moglie di lui. Mia mamma le chiese se fosse consapevole dell’accaduto, lei rispose che il marito aveva sbagliato e magari lo avrebbe sollecitato perché chiedesse scusa, ma era innamorato di lei mentre era solo mio amico. Impossibile, perché nella nostra cultura non esiste amicizia tra uomo e donna". Stando alla tesi difensiva, l’uomo non si spiega perché lei non abbia chiamato la polizia: lui lo avrebbe fatto sentendo buttare giù la porta. E poi lei gli avrebbe detto che voleva licenziare il suo amico, con famiglia a carico, e quella sera l’uomo le avrebbe voluto chiedere di non farlo.