MATTEO GENOVESI
Cronaca

Prince Ikpe Ekong, dal calcio alla religione

L’ex giocatore della Reggiana è diventato pastore pentecostale in Svezia, dove vive con moglie e 6 figli

Prince Ikpe Ekong

Reggio Emilia, 7 gennaio 2015 - IN CAMPO come nella vita. Chi sostiene che ruolo, stile e metodo comportamentale sul terreno di gioco siano in qualche modo espressione delle caratteristiche personali e delle conseguenti scelte al di fuori dello sport, troverà nell’esperienza dell’ex granata Prince Ikpe Ekong, oggi 37enne, un esempio perfetto.

Generoso, affidabile, essenziale (unico vezzo, gli scarpini bianchi), un esempio per mister e compagni, il calciatore nigeriano, protagonista a Reggio tra il 2000 e il 2003, al termine della stagione 2012 con gli svedesi del Vasby United, ha abbandonato la carriera per abbracciare la fede, per dedicarsi all’attività di pastore alla City Church International di Stoccolma (chiesa pentecostale). Una scelta di vita che l’ex giocatore ci racconta, oltre agli anni alla Reggiana e al resto della carriera.

Abbandonato il il football, ha abbracciato la fede, diventando pastore. Lo racconta anche nella sua autobiografia «Crown Prince».

«Sì, ora sono pastore a Stoccolma, ma il pallone fa ancora parte della mia vita, faccio scouting per diverse squadre svedesi e ho la mia accademia calcio a Lagos, in Nigeria. Ho smesso di giocare quando ho capito che la priorità era un’altra».

Ci racconta meglio questa scelta?

«Ho avuto un messaggio da Dio che mi ha fatto capire come fosse il momento di riunire insieme il suo popolo. So che può sembrare strano ciò che dico, ma è andata così, una vera e propria visione».

Ora qual è il suo ‘ruolo’?

«Devo insegnare al popolo la parola di Dio, utilizzandola come un manuale per aiutare le persone, in particolare i giovani, in ogni loro attività quotidiana. La vita è difficile e piena di ostacoli, il mio compito è di trovare le soluzioni ai problemi della gente e fare capire loro che non è mai il caso di arrendersi».

Riavvolgiamo il nastro e torniamo agli inizi, quando minorenne, approda a Reggio nel 1995.

«Ricordo la festa per la promozione in serie A, al termine della stagione 1995/96, con Carlo Ancelotti in panchina. Io imparavo tantissimo in allenamento da Nando De Napoli, ormai a fine carriera, ma un centrocampista davvero forte».

Un paio di prestiti all’estero e finalmente il debutto ufficiale in maglia granata, anno 2000.

«Ci tenevo parecchio, da lì ho giocato per tre stagioni, per me indimenticabili perchè ho iniziato a Reggio a fare sul serio con il calcio. I momenti più belli sono le salvezze raggiunte in extremis entrambe contro l’Alzano».

Che ricordi ha della città e dei tifosi reggiani?

«Abitavo a Rivalta, in via David Ricardo. Reggio mi è sempre piaciuta molto, ci sono tornato almeno una decina di volte. Ho avuto un bellissimo rapporto con il pubblico, che voglio ringraziare e salutare davvero di cuore. Ricordo solo un brutto episodio, stavamo giocando male e raccogliendo pochi punti, di ritorno da una trasferta trovammo le auto danneggiate, anche se a dire il vero la mia e quella di Cherubini vennero risparmiate!».

Adriano Cadregari in una memorabile conferenza stampa disse: «Io amo Ekong». Per sottolineare la sua duttilità e lo spirito di sacrificio per la squadra.

«Che persona il mister. Sincero, preparato, davvero un buon allenatore. Ci rimasi male solamente quando mi tolse la fascia di capitano che lui stesso mi aveva dato nonostante la mia giovane età. Qualche giocatore più esperto si era lamentato».

E’ ancora in contatto con i suoi ex compagni?

«Per diverso tempo ho sentito spesso Massimo Minetti, mi piacerebbe molto rivedere tanti di loro.

Il più bravo?

«Raffaele Nuzzo tra i pali aveva doti eccezionali, con lui mi sono trovato davvero bene, mi è stato vicino in quegli anni».

Riesce a seguire le sorti della squadra granata?

«Raramente, purtroppo. Tra l’altro non mi piace molto il calcio in tv, lo amo visto dal vivo e il tempo è poco. Chiaramente le auguro ogni fortuna, come ho detto non dimentico dove ho mosso i primi importanti passi da professionista».

Dopo la Reggiana la sua carriera come è proseguita?

«Ho giocato un paio di stagioni in Cina nello Shenyang Ginde (oggi Guanzhou R&F) e nello Xiamen Lanshi, un’esperienza interessante, dove il mio lavoro e la mia competenza sono stati particolarmente apprezzati da dirigenti e tifosi, infatti sono stato convocato anche nella nazionale Nigeriana in quel periodo. Poi mi sono trasferito in Svezia nel Gais, tre anni al Djurgarden, chiudendo infine nel 2012 al Vasby United».

In Svezia lei è rimasto a vivere...

«Proprio così, a Stoccolma, con mia moglie Patricia e i miei 6 figli: Emmanuel (13 anni), i gemelli Shalom e Sharon (11), Grazia (9), Elia ed Eliseo entrambi di 5 anni».