REDAZIONE REGGIO EMILIA

Ecco tutte le accuse L’incontro, i messaggini e la denuncia in ospedale Scontro sul dissenso

La ricostruzione fatta dalla vittima è stata ritenuta credibile in primo grado. Ma secondo la difesa lei non avrebbe esplicitato la contrarietà al rapporto. La perizia ha definito ’congelata’ la ragazza durante il rapporto di gruppo.

Ecco tutte le accuse  L’incontro, i messaggini  e la denuncia in ospedale  Scontro sul dissenso

Ecco tutte le accuse L’incontro, i messaggini e la denuncia in ospedale Scontro sul dissenso

"Costretta a subire atti sessuali, con violenza". Recita così la sentenza di primo grado, emessa il 6 dicembre scorso dal tribunale di Siena, che ha condannato a sei anni per stupro di gruppo il calciatore della Reggiana Manolo Portanova e lo zio Alessio Langella (24 anni all’epoca dei fatti). Una decisione che si basa su un caposaldo giuridico dell’ordinamento: la manifestazione del dissenso, anche non esplicita, anche qualora dovesse sopraggiungere a rapporto iniziato in maniera consensuale.

I fatti in questione risalgono alla notte tra il 30 e il 31 maggio 2021, nella città del Palio. Manolo e la ragazza si erano conosciuti due settimane prima in un locale, avevano cominciato a chattare fino a scambiarsi foto hard come si evince anche dalle carte giudiziarie nelle quali sono riportate le analisi dei telefonini. Quella sera i due si erano dati appuntamento. Lei è con un’amica a cena, Manolo le invita entrambe a raggiungerlo a casa di proprietà di un ragazzo per sfuggire al coprifuoco in vigore allora, in piena pandemia. Le due ragazze "avevano bevuto, ma erano coscienti", si legge negli atti. In quell’abitazione c’erano appunto Manolo, lo zio, Alessandro Cappiello (altro imputato che ha scelto il rito ordinario ancora in fase dibattimentale) e un minorenne (condannato a 3 anni, pena sospesa). E c’erano anche altre due coppie di fidanzati. Nella camera da letto – secondo il giudice Ilaria Cornetti – si è consumata la violenza ritenendo credibile il racconto della ragazza. La quale riferisce di essersi appartata con Manolo sul letto e di aver cominciato a fare sesso; poi, sono arrivati gli altri tre abusando di lei per circa un’ora e girando diversi video col telefonino del minorenne, considerate le prove regine del proceso. Intorno alle 4 la ragazza esce e va a casa. Il giorno successivo si presenta al pronto soccorso dove riferisce di essere stata violentata. Poi, pochi giorni dopo denuncia tutto in questura. Inizia il processo e arriva la sentenza che dispone anche il pagamento di 100mila euro alla ragazza, 20mila alla madre e 10mila all’associazione Donna chiama Donna, costituitasi parte civile. Mentre viene negato il risarcimento al padre della ragazza.

Per la difesa di Manolo – rappresentata dall’avvocato Gabriele Bordoni – che ha fatto ricorso in Appello, ci sono tanti punti che non tornano tra chat, deposizioni e comportamenti della ragazza. Difesa che è convinta di rendere nulla la sentenza in virtù del fatto che "non ha motivato neppure per accenno rispetto a numerosi elementi probatori prodotti". Ma soprattutto c’è una frase pronunciata dalla ragazza che secondo la famiglia Portanova è fondamentale. Un messaggino inviato ad un’amica la mattina successiva: "... io non è che mi sono come posso dire imposta, e non ho detto ’no, no, no’. Non ho saputo gestì la situazione evidentemente". Così come la difesa preannuncia battaglia sul video ("si coglie che non fu costretta e che fosse consenziente"), andando contro al cosiddetto stato di ’freezing’ della ragazza esplicitato nella sentenza. E ad alcune ricerche "ambigue" su Google della ragazza durante la notte. Ma anche sulle perizie basate sui referti medici della ragazza (la famiglia Portanova ci tiene a precisare "che la prognosi al pronto soccorso, come scritto in effetti negli anni, era di 10 giorni e non oltre come riportato spesso in passato da alcuni organi di stampa") che "soffriva già in precedenza di disturbi che non provano con certezza che si fosse trattata di violenza quella sera o di questi stessi suoi problemi" fino a contestare gli schiaffi che le hanno provocato le lesioni.

Infine, in secondo grado, intendono dimostrare come "la ragazza, volendo, potesse avere la possibilità di chiedere aiuto nel corso di un amplesso durato un’ora all’interno di un appartamento di soli 30 metri quadri (a supporto della tesi la difesa ha pure prodotto una perizia fonometrica realizzata nell’edificio, ndr) alla presenza di altre sei persone oltre alle cinque coinvolte nei fatti accusatori".

Daniele Petrone