LARA MARIA FERRARI
Cronaca

L'eccidio del cimitero e la notte dei leoni, la storia di famiglia di Stefania Cigarini

La studiosa, cresciuta tra Marmirolo, Rubiera e Reggio, nel 2021 ha deciso di dedicarsi alla ricerca storica.E’ la pronipote di Olinto Cigarini, celebrato l'8 marzo insieme ad Alberto Branchetti per gli 80 anni dall’Eccidio di Villa Bagno

Operaie Bloch di fronte al ministero del Lavoro

Operaie Bloch di fronte al ministero del Lavoro

Reggio Emilia, 14 aprile 2025 – Una storia che fa parte delle micro storie delle vittime di guerra, e del fascismo, che come tutte a ben pensarci, prima di essere consegnata agli archivi, è una storia di famiglia. Quella della studiosa Stefania Cigarini (Reggio, 26 ottobre 1962), figlia di contadini, cresciuta tra Marmirolo, Rubiera e Reggio, che nel 1989 è a Ferrara per lavorare in televisione e nel 1993 a Roma, al Messaggero. La svolta nel 2021 per dedicarsi alla ricerca storica. Da quattro anni è nel collegio dei garanti di Istoreco. 

“Laureata in Storia Contemporanea, sono finita a occuparmi di storia, un percorso ovvio”, ci scherza su. Stefania è pronipote di quell'Olinto Cigarini, celebrato l'8 marzo insieme ad Alberto Branchetti per gli 80 anni dall’Eccidio di Villa Bagno.

Che ricordo conserva di un evento che sconvolse la sua famiglia d'origine e un paese?

“Era il 1945, a poche settimane dalla Liberazione, quando si consumò l’Eccidio del cimitero. Quel giorno, il 5 marzo, una squadra della Brigata nera, sulle tracce dell’arciprete don Cirillo Alberghi, sospetto fiancheggiatore della resistenza cattolica, uccise due ragazzi di Villa Bagno, Olinto Cigarini, mio prozio, di 20 anni, e Alberto Branchetti di 26, renitenti alla 'leva' della Repubblica Sociale Italiana. Secondo i racconti di mio padre, che ho ricostruito storicamente, Olinto si era nascosto in una botte sotto la concimaia e Alberto in un mucchio di fieno. Un ragazzino di 15 anni, papà, ha visto uccidere mio prozio che ne aveva 20. Uno zio tradito da un amico di infanzia, che sotto il trench aveva la camicia nera. Hanno portato al muro Alberto e Olinto e gli hanno sparato”.

Di questa vicenda lei ha curato una pubblicazione.

“Sì, 'L'eccidio del cimitero e la notte dei leoni', per Corsiero editore, che aggiorna il testo uscito su Ricerche Storiche per il 70° della Liberazione. Inoltre, allieve e allievi della quinta classe della scuola Boiardo di Villa Bagno hanno presentato a comunità e autorità il progetto didattico dedicato a Olinto e Alberto. Un bel passaggio di testimone alle nuove generazioni”.

C'è un altro episodio legato alla sua famiglia, dalle dinamiche più grottesche...

“Il 29 novembre 1945 una carrozza di leoni di un circo che si trovava in città si sbullonò e le bestie fuggirono nella notte. Il fratello di Olinto venne sbranato da un leone, nel cortile di casa. Se ci penso, mi pare incredibile. Mio nonno è sopravvissuto alla Grande guerra, combattendo sul Carso; fino al Secondo conflitto nessuno è morto, poi un prozio viene tradito dal suo migliore amico, ammazzato, e nove mesi dopo il fratello è ferito a morte da un leone. A ricordare il fatto c'è un lungo murale nel sottopasso di Castellazzo”.

Si sta dedicando allo studio della Genealogia. Che cosa va scoprendo ?

“Intanto, ho implementato una ricerca storica che mi ha permesso di mettere insieme cinque generazioni, dalla 'zero' delle mie bisnonne e dei bisnonni alle attuali. Ne emerge un affresco di famiglia, in cui si può riflette la struttura a maglie fitte del modello emiliano”.

Che intende?

“Esiste davvero un modello emiliano, di cooperazione, di solidarietà e aiuto reciproco, che nasce proprio nelle famiglie contadine, e studiarle ti fa capire come si siano aiutati ed evoluti a vicenda. Non è un caso che sia nato qui. Questo vorrei raccontare, ai nati dopo il 2000. Ripercorrere certi avvenimenti mi incoraggia nelle giornate storte”.

Ovvero?

“Quando ho un momento no, penso che le mie bisnonne hanno visto due guerre”.

Lei ha ripercorso la vicenda del Calzificio Bloch. Ce ne parla ?

“Ho avuto la fortuna di incappare nella storia di questa industria al femminile che, insieme alle Reggiane, ha definito il nostro territorio e la storia del Novecento italiano. Il calzificio reggiano, poi Calza Bloch, copre il lungo periodo 1910 – 1978 e fu fondato in Gardenia: 68 anni di Reggio Emilia, che diedero origine alla filiera del tessile. Cambiò nome, si adattò alle mutazioni industrali, ma non stabilimento né core business, non era una filanda o un opificio, ma occupava da cinquecento a un migliaio di donne e venne aperto da Giuseppe Menada, che la vedeva lunga. Da presidente delle Reggiane decise che serviva un'industria che producesse seta, calze... Stiamo parlando del 1905”.

Non filò tutto liscio, però.

“Ricevette parecchio ostracismo. ‘Le contadine sono ignoranti, rimangono incinte’, gli dicevano. A finanziarlo fu Camillo Prampolini, suo avversario. Si pensi semplicemente che le Reggiane, tra le più grandi industrie dell'epoca insieme a Fiat, hanno permesso la formazione di una coscienza politica nei maschi, riguardo alle donne. Uno straordinario esempio di sincretismo ed emancipazione. Testimone ne è Piera Vitale, ultima sindacalista di 'Calza Bloch'. Ho scoperto così che tutte le battaglie portate avanti alle Reggiane, le ragazze della Bloch le avevano fatte un anno prima. Come lo sciopero per avere sabato libero”.

Scattarono denunce ?

“Sì, per le più riottose, in 300. Le donne di Calza Bloch occuperanno la sede di viale Regina Elena per quasi due anni, fino alla definitiva chiusura. Ci vivranno giorno e notte, Natale e Ferragosto, continuando a produrre e protestare, a Reggio, Bologna, Milano, Roma; dal ministro Donat Cattin al vescovo Baroni”.