di Alessandra Codeluppi
Don Camillo, Peppone e il terzo incomodo che a Brescello aveva preso casa: la ‘ndrangheta. Dopo la sentenza emessa martedì sera, dalla Corte di Cassazione, per gli imputati del processo ‘Grimilde’ con rito abbreviato, è ora una verità accertata definitivamente dalla giustizia. Per il 43enne Salvatore Grande Aracri, detto ‘Calamaro’, i giudici hanno infatti confermato l’accusa di associazione mafiosa, che lui, come dichiarato un anno fa dopo la sentenza di Appello dal suo difensore, respingeva. Dopo i 20 anni in primo grado, i giudici di Bologna avevano alleggerito a 14 anni e 4 mesi la pena per il nipote del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, figlio di Francesco e fratello di Paolo, questi due imputati nel rito ordinario di ‘Grimilde’. Per il ‘Calamaro’ la Suprema corte ha inoltre disposto un nuovo giudizio in Appello, accogliendo la richiesta della Procura generale riguardante tre imputazioni. Gli ermellini gli hanno annullato senza rinvio un’accusa di estorsione per difetto di contestazione, e anche il trattamento sanzionatorio per il quale ci sarà un nuovo giudizio. Ma l’accusa di 416 bis non è stata scalfita né per lui né per quasi tutti gli altri imputati ai quali era stata mossa. E dunque l’impianto accusatorio, impostato dal pm della Dda Beatrice Ronchi e portato avanti dal procuratore generale d’Appello Lucia Musti, ha retto. È stato infatti rigettato il ricorso di Giuseppe Caruso, l’ex presidente del consiglio comunale di Piacenza, che vede così confermati 8 anni e 2 mesi per mafia, più 4 anni per un’ulteriore truffa all’Agea. E anche quello del fratello Albino Caruso (6 anni e 10 mesi). Dichiarati inammissibili i ricorsi di Francesco Muto (1967), residente a Brescello (8 anni e 10 mesi); Pascal Varano (1987) di Poviglio (6 anni); Leonardo Villirillo (1967) di Crotone (8 anni e 10 mesi); Giuseppe Lazzarini (1982) di Cutro (9 anni). Per Claudio Bologna (1964) di Parma è stata annullata la sentenza limitatamente alla determinazione della pena (8 anni) che passerà al vaglio di nuovo giudice. Domenico Spagnolo (1978) di Cadelbosco è accusato di concorso esterno all’associazione mafiosa: inizialmente era ritenuto un partecipe della cosca, poi l’Appello lo aveva riqualificato, condannandolo a 6 anni e 8 mesi. Ora la Corte di terzo grado ha annullato e rinviato a un nuovo processo. Dichiarati inammissibili anche i ricorsi dei seguenti imputati, con contestazioni diverse dall’associazione mafiosa, che vedono diventare definitiva la pena: Giovanni Abramo (2 anni e 8 mesi); Manuel Conte (1991) di Brescello (4 anni e 1 mese); Renato De Simone (4 anni); Florian Dhana (1981) di Reggio (3 anni); Alfonso Diletto (1967) di Brescello (2 anni e 8 mesi); Giuseppe Fontana (1974) di Reggio (3 anni e 4 mesi); Davide Gaspari (2 anni); Rosita Grande Aracri (1983) di Brescello (2 anni); Luigi Muto (1975) 2 anni e 8 mesi; Nicolino Sarcone (1965) di Bibbiano (2 anni e 8 mesi); Antonio Silipo (1969) di Cadelbosco (6 anni e 4 mesi) e Natascia Zanetti (1976) di Montecchio (2 anni e 2 mesi). Accogliendo il ricorso del pm, la Corte ha annullato la sentenza impugnata per Antonio Muto e Cesare Muto (1980) di Gualtieri relativamente a quattro accuse e disposto un nuovo processo; per quest’ultimo nuovo giudizio sulla determinazione del trattamento sanzionatorio per un’imputazione. Annullata senza rinvio la sentenza per Devid Sassi su un’imputazione.