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Il plastico della diga di Vetto secondo il progetto Marcello degli anni ’80
Vetto (Reggio Emilia), 30 gennaio 2025 – In principio fu un’alluvione. Nel 1972 l’Enza esondò a Fiesso, travolgendo Sorbolo Levante e Lentigione. Fu questo disastro a convincere l’allora ministro all’Agricoltura, Giovanni Marcora a disporre la realizzazione della diga di Vetto. L’idea concreta dell’opera affonda le radici in una storia di acqua e fango. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che dopo oltre 40 anni quella diga non sarebbe mai stata realizzata e che i problemi della Val d’Enza sarebbero stati diametralmente opposti. Una siccità africana da far tremare qualunque agricoltore e allevatore, soprattutto i produttori di Parmigiano Reggiano: per il disciplinare devono garantire che almeno il 70% dei foraggi utilizzati dalla filiera cresca, a valle, nei prati stabili della zona. Ma in Val d’Enza l’acqua per lo più scarseggia, coltivare come continuare a produrre viene fatto ad altissimi costi energetici di pompaggio.
Dopo lo slancio impresso da Marcora, la diga prese forma su carta. Nel 1981 lo studio dell’ingegner Claudio Marcello ne definì i numeri: un invaso da 102 milioni di metri cubi d’acqua, con un muro di cemento alto 83 metri (meno di Ridracoli) favorito dalla conformazione geografica, la stretta di Vetto. È il cosiddetto ‘progetto Marcello’. Nel 1987 il volume della diga fu ’ritoccato’ a 180 milioni di metri cubi, ipotesi che avrebbe aperto alla cancellazione del borgo di Atticola, una manciata di case in sasso abitate da meno di una decina di persone. Ma quella di Atticola è un’altra storia, perché il ’progetto Marcello’ non ha mai visto la luce. Sul finire degli anni ’80 venne realizzato il ’taglione’, la feritoia in cui sarebbe stato realizzato il muraglione della diga. È questo l’ultimo segno visibile del cantiere, fermatosi per un mix di eventi.
L’opposizione degli ambientalisti fu forte, suffragata al tempo dal rinvenimento di materia organica riconducibile alla lontra (anche se il dubbio che si trattasse di nutrie o visoni da allevamenti non fu mai del tutto fugato) e da modifiche normative che introdussero, per opere simili, la procedura di valutazione di impatto ambientale (Via). Si fermò tutto, benché la Via non fosse necessaria per una diga già autorizzata. Fu solo con il ministro Ripa di Meana che l’iter si completò, riavviandosi ma non cambiando nella sostanza: nessun ruspa fu più vista all’opera. Nemmeno dopo l’inondazione dell’Enza del 2017.