Reggio Emilia, 30 settembre 2020 - C’è un collegamento tra la diffusione del coronavirus e l’inquinamento atmosferico in Pianura Padana: a dimostrarlo è uno studio della Sima (società italiana di medicina ambientale) pubblicato sulla rivista ‘British Medical Journal’. Il gravissimo problema dello smog che interessa costantemente la nostra provincia diventando ancor più drammatico con l’arrivo della stagione fredda diventa ancor di maggior attualità in questi difficili ‘tempi del Covid’.
La prova schiacciante di questa connessione tra lo smog e il virus è stata data dalle tracce di Rna virale in campioni provenienti dai filtri di raccolta del particolato atmosferico nella provincia di Bergamo, durante l’ultima serie di sforamenti di pm10 avvenuti a febbraio. Di lì a poco, i contagi avrebbero visto un’accelerata improvvisa, arrivando alla realtà emergenziale che tutti ormai conosciamo.
"Il periodo esaminato teneva conto dei 14 giorni di massima incubazione del virus e quindi degli effetti prodotti nelle prime due settimane di ondata epidemica in Italia, ossia dal 24 febbraio al 13 marzo. Su un totale di 41 Province del Nord Italia, ben 39 si collocavano nella categoria di massima frequenza di sforamenti", ha puntualizzato il professor Prisco Piscitelli, epidemiologo e vicepresidente Sima. D’altro canto questa fase statica della quarantena, che decreto dopo decreto ha vincolato la popolazione reggiana tra le mura domestiche, ha avuto di riflesso un effetto benefico sull’inquinamento.
I dati di Arpae dei monitoraggi sulla quantità di agenti inquinanti nell’aria segnavano fino a martedì 25 febbraio livelli di pm10 nell’aria oltre il limite giornaliero, che è 50 µg/m3. Le uniche eccezioni, in quei giorni, sono state Castellarano che si è fermata appena sotto (a 48 µg/m3) e le zone di montagna (le stazioni provinciali di Arpae si trovano a Febbio - Villa Minozzo, Guastalla - San Rocco, Castellarano e in città zona Timavo - San Lazzaro). Già nel breve periodo successivo a quei giorni c’è stato un calo deciso, passando anche dai 60 ai 27 µg/m3. Ora, pensare che le limitazioni del piano aria integrato possano risolvere la situazione sarebbe semplicistico, ma di sicuro rappresentano un aiuto fondamentale a non peggiorare le cose, considerata la stagione in cui ci stiamo inoltrando.
Perché qui sta la differenza: quei valori registrati a febbraio fanno riferimento a un cambiamento climatico in uscita dalla stagione fredda, verso la primavera, quando sale l’altezza di rimescolamento dell’aria, ossia il limite sotto il quale rimane lo spazio all’aria per circolare e che in inverno si abbassa sensibilmente, aumentando la concentrazione degli inquinanti. In parole povere, tra la stagione calda e fredda da noi, c’è la stessa differenza che si ha lasciando una macchina accesa all’aperto, o chiusa dentro una stanza.