"Sono 29 le forme neuro-invasive nella nostra provincia, nel 50% di queste ci possono essere delle sequele neurologiche presenti fino ad un anno dopo l’infezione. La percentuale è molto alta". Sergio Mezzadri, direttore f.f. della struttura di malattie infettive del Santa Maria Nuova, analizza la stagione del virus West Nile nella nostra provincia, e con una proporzione chiarisce che ogni 250 infezioni, una è neuro-invasiva, proprio quest’ultima un anno dopo riporta conseguenze. L’andamento epidemiologico per Mezzadri è preoccupante, anche se sostiene che ciò non significhi che la situazione evolverà in maniera esponenziale più avanti: "Spesso si verificano dei picchi ma con una successiva diminuzione dei casi per le estati successive. Nel 2018, per esempio, Bologna registrava epidemie analoghe con 32 casi ma nell’anno successivo 0". Con la stagione invernale e l’abbassamento delle temperature i casi dovrebbero addirittura essere minimi, se non nulli. Le persone più a rischio "sono la popolazione più anziana e quella con deficit immunitari", che devono tenere più alto il livello di allerta perché l’infezione non è curabile. "Il paziente viene sottoposto a terapie di supporto ma non esiste un antivirale al momento efficace", sottolinea il direttore di malattie infettive. Ma la maggior parte delle persone che contrae il virus non sviluppa sintomi gravi. "Circa l’80% delle infezioni è asintomatico; mentre solo il 20% sviluppa una forma lieve della malattia chiamata febbre di West Nile, caratterizzata da sintomi come febbre, mal di testa, dolori muscolari e, talvolta, eruzioni cutanee. Queste forme non sono letali e generalmente si risolvono senza complicazioni. Meno dell’1% delle persone, invece, specialmente anziani e persone con deficit del sistema immunitario e con altre patologie, sviluppano forme gravi o neuro-invasive; fra queste la mortalità può essere significativa (sino al 10%); alcuni (sino al 50%) dei pazienti che hanno contratto una forma neuro-invasiva possono sperimentare complicanze neurologiche a lungo termine, come debolezza muscolare, tremori o problemi di memoria e concentrazione". Indicare una zona più esposta al virus è complicato ma osservando lo sviluppo dei casi, in un lungo periodo, una zona potrebbe essere quella della Bassa: "I casi sono in gran parte concentrati lungo il fiume Po. In città invece è più difficile definire un’area più a rischio. Il lungo Crostolo per esempio non è più esposta di altre". Secondo Mezzadri il livello di prevenzione e attenzione a Reggio è alto e il contenimento della febbre Dengue ne è un esempio: "Nei giorni scorsi a Fano non è stata contenuta l’epidemia di Dengue. Nella nostra provincia, invece, appena c’è un caso, viene effettuato un trattamento sul perimetro dell’area interessata. E Il fatto che a Reggio si sia registrato il primo caso di Dengue d’Italia, che non è esploso in un’epidemia, è sinonimo di un alto livello di sorveglianza, perché questi sono virus difficili da contenere".
Ylenia Rocco