Una targa di riconoscimento da parte dell’Anpi e una festa a sorpresa con tutti i parenti.
Sono i due momenti che sabato hanno contrassegnato i festeggiamenti del 90° compleanno dell’ultimo partigiano vivente di Montecchio: Dino Montanari, nome di battaglia ’Coll ragaz’. Sì, perché Dino aveva 10 anni nell’aprile 1945, ma ben prima aveva iniziato a dare il suo contributo alla lotta di liberazione. Suo padre in Germania a lavorare in miniera, la mamma nel frattempo morta, Dino era rimasto con il fratello d’un anno più grande Dino e la sorellina Mariuccia nella loro vecchia casa, aiutati un po’ dalla zia e un po’ da montecchiesi di buon cuore. E costoro portandolo da una casa all’altra, magari durante il coprifuoco, sotto i suoi abiti gli facevano nascondere armi, munizioni e messaggi. Tantissime le volte in cui vennero fermati dai nazifascisti, che non esitavano a puntare i mitra contro il bambino, che però faceva la sua parte e recitava bene.
Tra i contributi che dava c’era anche quello di raccogliere i bossoli, per poi consegnarli ai partigiani "grandi" che li riutilizzavano per confezionare nuovi proiettili. Una volta, durante un importante conflitto a fuoco in pieno centro, ne raccolse un’enorme quantità strisciando dentro ai canali con le pallottole che gli sibilavano sulla testa. Quando dalla Germania rientra papà Domenico, viene subito arrestato e condotto in carcere a Parma, con i figli che vanno a piedi a implorarne la liberazione.
Tra il dicembre 1944 e il marzo 1945, la loro casa vicino al ponte sull’Enza viene distrutta dai bombardamenti aerei alleati; per fortuna la famiglia si salva. Poi la guerra finisce ma la militanza continua. Tanto che il 7 luglio 1970 Dino è in piazza a Reggio con alcuni amici militanti del Pci quando la polizia inizia a sparare sulla folla. È accanto a Emilio Reverberi quando questi viene ucciso sotto i portici dell’Isolato San Rocco. Dino è ferito agli occhi da schegge e, molti anni e 15 interventi dopo, perderà la vista.
Ma allora scappò all’estero, prima in Francia dove si imbarcò su un mercantile.
Quindi si fermò ad Amsterdam, dove fece l’operaio, vivendo a poca distanza dall’abitazione di Anna Frank di cui conobbe il padre Otto, che allora stava sviluppando la casa-museo e la Fondazione.
"È andato via dicendo che andava a comprare le sigarette, è tornato indietro dopo 10 anni con una moglie e due figli": così papà Domenico (Mìnghin, allora custode del parco del Castello) commentò il rientro a Montecchio di Dino. Sposato in Olanda con ’Annalisa’, parrucchiera, intraprese il mestiere di muratore e con il fratello Gino, falegname, ristrutturò la casa di famiglia dove tutt’ora vive. I figli sono diventati tre – Gianni, Sandra e Oliver –, altrettanti i nipoti.
E negli anni con loro ha viaggiato, ritornando anche nei luoghi della sua giovinezza esule ma anche in quelli storici della Seconda Guerra Mondiale.
Sabato, tutti riuniti (mancavano solo i parenti olandesi della moglie), hanno circondato di affetto ’Coll ragaz’ durante il conferimento della targa e, a sera, durante la festa.
Ormai non vedente, Dino non rinuncia né all’attivismo politico né all’impegno nell’Anpi, e racconta a chi lo desidera la sua vita ricca di avventure e bizzarre passioni, come la collezione di bandelle per sigari; di caschi per motociclisti (le due ruote: un altro suo amore, tanto da conquistargli il soprannome di ’Pedivella’) e antiche scatole per polvere da sparo.