TOMMASO VEZZANI
Cronaca

Castellari, 38 anni in cattedra. La sua Città del Lettore è diventato un evento clou: "Già sento la malinconia..."

Il professore d’Italiano e latino del liceo Moro va in pensione e saluta tutti i suoi studenti "Oggi la scuola da un lato scimmiotta l’azienda, dall’altra teme genitori, avvocati, politici...".

Castellari, 38 anni in cattedra. La sua Città del Lettore è diventato un evento clou: "Già sento la malinconia..."

Castellari, 38 anni in cattedra. La sua Città del Lettore è diventato un evento clou: "Già sento la malinconia..."

Con la fine dell’anno scolastico il liceo Aldo Moro perderà un pezzo storico e pregiato: Daniele Castellari, professore di letteratura italiana e latina, dopo 38 anni di onorato servizio in via XX settembre saluterà tutti e si godrà la meritata pensione. Nella sua lunga carriera il prof ha formato migliaia di alunni e si può dire che ha chiuso in bellezza, dulcis in fundo. Nel 2017 infatti è stato l’ideatore di quello che oggi è uno degli eventi culturali più attesi e interessanti per i reggiani, ragazzi e non solo: ‘La città del lettore’.

Professor Castellari, come è nata questa idea?

"Dalla sensazione che la letteratura non si debba imparare, ma vivere; che gli studenti debbano essere al centro e protagonisti di un apprendimento che si trasforma in comunicazione per altri; che la scuola possa essere interessante per la città e viceversa".

Che risposte ha avuto dai ragazzi in questi anni? C’è qualche ricordo a cui è particolarmente legato?

"Un crescendo di entusiasmo, pur fra tante difficoltà. Nel 2017 i ragazzi partecipanti erano 150, oggi sono più di 400. I ricordi riempirebbero sei anni di diario. Per ora ne ho sistemati alcuni in un libro appena uscito, che è anche una proposta, anzi 55, per rinnovare la scuola: ’E questa sarebbe una scuola? La Città del lettore ovvero cinquantacinque modi per vivere la letteratura’, Compagnia editoriale Aliberti".

Ora che andrà in pensione, che ne sarà di questo progetto, qualcuno se ne farà carico?

"No, per ora abbiamo terminato la sesta edizione e un erede preciso non c’è. Esiste una forte determinazione dei ragazzi a non concludere qui l’esperienza".

Quale sentimento metterà nella borsa prima di tornare a casa, l’ultimo giorno?

"Prevale un senso di leggera malinconia a pensare che non entrerò più nella meravigliosa quotidianità di un’aula popolata da 25 ragazzi e ragazze, che ti mettono in contatto col futuro. E poi ho la sensazione di non avere sempre avuto la lucidità e la consapevolezza di creare occasioni di crescita per gli studenti che ho incontrato".

Cosa ha visto cambiare in tutti questi anni?

"È sotto gli occhi di tutti. La scuola da un lato scimmiotta quell’azienda che non potrà mai essere, dall’altro teme genitori, avvocati, politici, forse anche la sua ombra. Ho raccontato ai miei studenti attuali la libertà che si viveva ancora alla fine degli anni ’90, mi hanno guardato come uno che racconta miti, se non addirittura panzane. Sembrava la situazione della canzone di Guccini, Il vecchio e il bambino…".

Si fa un gran parlare ultimamente di disagio giovanile: cosa ha percepito lei e di cosa avrebbero bisogno questi ragazzi per stare meglio?

"Di adulti che partecipino con rispetto e presenza alla loro vita, che li lascino provare e sbagliare, che non li carichino di attese messianiche, che discutano e si oppongano senza dargliele tutte vinte. La politica come la famiglia, e ancor più l’economia che li vede come un serbatoio commerciale, pensano di continuare a far credere ai giovani che stanno lavorando per loro e per il loro futuro. I ragazzi più avvertiti non ci credono più, sappiatelo. Se si mostrano arrendevoli e consenzienti, è perché gli conviene. Qualcuno potrebbe essere soddisfatto di questo allineamento giovanile, ma in questo modo le nuove generazioni non crescono, molto più semplicemente si corrompono".

Che impressione ha di Reggio, della sua situazione attuale. È una città viva?

"Mi sembra che faccia di tutto per sembrarlo. Sicuramente ha potenzialità per essere molto attrattiva e non si può dire che non abbia lavorato su infrastrutture che possono rivelarsi di grande interesse. Ora si tratta di dare corpo a queste suggestioni".

Semplifichiamola: scelga una realtà, iniziativa o progetto, che le piace e un difetto secondo lei importante.

"Ho visto e partecipato alla nascita di ReggioNarra e continua a piacermi lo spirito e la cultura che anima questo appuntamento culturale. Come d’altra parte ammiro e apprezzo le persone che credono e si spendono per il progetto Reggio Città senza Barriere. Uno dei problemi, ma è di Reggio come di altre città, sta nell’identificazione della cultura con l’evento e nella difficoltà a tradurne gli effetti in una dimensione sociale più quotidiana".

Visto che appena andrà in pensione si dovrà anche andare a votare, se toccasse a lei cosa farebbe per migliorare la situazione per Reggio?

"Ci sono persone molto più competenti, ma non mi sottraggo alla risposta. Non pensiamo ai giovani come a una categoria a parte, essi hanno bisogno di un confronto intergenerazionale. Devono imparare, è giusto, ma facciamoli già provare, cioè non continuiamo a fare soltanto cose per loro, ma facciamole soprattutto con loro. Pensi che sogno: Reggio, città che attrae giovani da tutte le parti come luogo di senso e non solo di consumo, anche di turismo e cultura nel senso alto del termine. Sullo 0-6 Reggio c’è già – e forse pure sullo 0-11 – ora bisogna lavorare duro sull’adolescenza. La cultura qui è strategica e non deve rimanere un oggetto decorativo, una specie di salotto buono per certi momenti, bisogna che incontri le fatiche e i desideri delle persone parlando a tutti, senza sfoggio intellettualistico e senza permalosità velleitarie. Niente snobismi o egocentrismi insomma, ma una cultura che diventa attrice civile e protagonista".

Come a scuola, come alla Città del lettore, come l’hanno vissuta le migliaia di ragazzi passate attraverso i decenni nelle classi di Castellari. Da domani alla cattedra lui non ci sarà più ma possiamo starne certi: da qualche parte lo rivedremo. E allora – come sempre – arrivederci, prof!