Reggio Emilia, 31 ottobre 2024 – Delitto Cascina Spiotta, le vecchie Br tornano sotto processo. “È legittima la richiesta avanzata dai familiari del carabiniere. Il mio assistito però chiede anche di sapere chi e perché ha ucciso sua moglie. La storia va riscritta, ma se la dobbiamo riscrivere la riscriviamo tutta intera”. Sono le parole dell’avvocato Vainer Burani, che assiste Renato Curcio, fondatore delle Br, dopo la decisione del rinvio a giudizio per tre ex Br.
La Corte di Assise di Alessandria processerà infatti il 25 febbraio due capi storici delle vecchie Brigate Rosse, Renato Curcio e Mario Moretti, e un ex militante delle Br, il reggiano Lauro Azzolini, per la sparatoria del 5 giugno 1975 alla Cascina Spiotta, che costò la vita all’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso. Nella sparatoria morì anche Mara Cagol, moglie di Curcio. Il rinvio a giudizio delle ex Br è stato disposto ieri dal gup del tribunale di Torino, al termine dell’udienza preliminare.
Il processo si aprirà il 25 febbraio 2025. Un quarto imputato, Pierluigi Zuffada, è stato prosciolto perché l’accusa di “concorso anomalo nell’omicidio”, così come formulata dalla Procura, è stata considerata prescritta. I difensori avevano chiesto il non luogo a procedere per i quattro ex brigatisti. “È un processo fuori età – commenta l’avvocato Burani –. Il mio assistito vorrebbe sapere chi e perché ha ucciso la moglie, che è stata ferita al polso e alla schiena ma è morta per un proiettile che le ha attraversato il torace mentre era seduta con le braccia alzate, come si evince dal rapporto dell’autopsia. Curcio non ha spirito di vendetta, non si tratta di questo, ma di capire, perché la morte della moglie è parte di questa vicenda. Sarebbe interessante sapere finalmente chi c’era esattamente in quel posto in quelle ore”.
“Nessuna sorpresa – afferma l’avvocato Davide Steccanella, legale di Azzolini –. È un processo tutto nullo per il mio assistito ma per Torino era come per il matrimonio di Renzo e Lucia che, al contrario di quello, si doveva fare. Mi sono visto pure scrivere da un gip che, se ti intercetto per mesi con un trojan e ti comparo le impronte con un reperto di 50 anni, non vuole dire che sospetti di te”, ha aggiunto, riferendosi all’eccezione da lui sollevata in merito all’inutilizzabilità delle conversazioni intercettate ad Azzolini quando non era indagato. Conversazioni carpite all’oggi ottantenne Azzolini che, secondo l’interpretazione della Procura, dimostrerebbero che fu lui a sparare e uccidere il carabiniere. Sul punto, la gup Vanini ha rimandato alla Corte d’Assise il compito di rilevare se fossero o meno legittime.
“Sebbene sia passato tanto tempo – commentano due degli avvocati di parte civile, Guido Salvini e Nicola Brigida –, la decisione del giudice è importante per capire cosa avvenne quella mattina. È un processo che esprime non un desiderio di vendetta, ma di verità e di giustizia”. Il fascicolo è stato aperto per iniziativa di Bruno D’Alfonso, figlio dell’appuntato e a sua volta carabiniere in congedo, che nel dicembre del 2021 presentò un esposto chiedendo di dare un nome e un volto a un brigatista che riuscì a fuggire e non fu mai identificato. Ora la Dda del Piemonte ritiene che si tratti di Azzolini: sue sarebbero le impronte sul ‘rapportò vergato da una mano anonima sui fatti della Spiotta a uso interno delle Br.