Un anziano costretto a rinunciare a se stesso e al proprio mondo. Ucciso nell’anima e vessato con condotte tali da causarne la morte, che sarebbero state perpetrate da chi avrebbero dovuto accudirlo: i suoi parenti stretti. E poi da loro buttato nel pozzo di casa, per usufruire della sua pensione e di altri beni. Negli ultimi tre mesi di vita Giuseppe Pedrazzini, 77 anni, sarebbe morto un po’ alla volta, ogni giorno, a causa dei comportamenti di chi aveva accanto: uno stillicidio riconosciuto come tale dal giudice dell’udienza preliminare Andrea Rat che, dopo tre ore in camera di consiglio, ha ritenuto colpevoli la figlia 38enne Silvia e il genero 43enne Riccardo Guida. Per la coppia, a processo con il rito abbreviato, il gup ha deciso in primo grado una condanna di 12 anni e 4 mesi. La coppia è stata ritenuta responsabile di maltrattamenti aggravati per aver causato la morte dell’anziano e perché inflitti davanti al nipote minorenne, protratti per quasi tre mesi, dal 18 dicembre 2021 fino al decesso avvenuto il 5 marzo 2022 nella casa di Cerrè Marabino, frazione di Toano. E di sequestro di persona, per averlo costretto a stare tra le mura dell’abitazione e avergli impedito di comunicare con parenti e amici. Poi di soppressione del cadavere, che fu ritrovato nel pozzo l’11 maggio 2022, dopo che i parenti avevano dato l’allarme non riuscendo più a parlare con il loro caro. Nonché di truffa all’Inps.
Marito e moglie sono stati assolti da una sola accusa: l’omissione di soccorso a Pedrazzini nel giorno della sua morte. Per loro il pm Piera Cristina Giannusa, titolare delle indagini condotte dai carabinieri, aveva chiesto 18 anni e 2 mesi. Il gup ha rinviato a giudizio per tutte le contestazioni la vedova 64enne Marta Ghilardini: per lei il processo davanti alla Corte d’Assise è fissato nella primavera 2024. Il pm ha contestato a tutti e tre gli imputati un ruolo pressoché paritario nell’ordire un piano ai danni dell’anziano, che comportò la sua morte "come conseguenza da loro forse anche voluta". All’inizio dell’indagine era stata formulata anche l’ipotesi di omicidio, poi decaduta quando dall’autopsia è emerso che la causa della morte era naturale. La lunga battaglia sulle misure cautelari per la coppia Pedrazzini-Guida è intanto approdata alla Cassazione: da qualche giorno i due – che erano stati sottoposti ai domiciliari al lago di Bolsena – sono tornati in carcere in strutture separate, lei al momento a Modena e lui a Viterbo, da dove l’uomo ieri si è videocollegato.
Dopo la sentenza, Silvia Pedrazzini ha mormorato: "Io volevo bene a mio padre, non gli ho fatto nulla". Mentre il marito Riccardo Guida, raggiunto al telefono dal difensore, si è sfogato: "Perché devo essere condannato sulla base di false dichiarazioni?", riferendosi alla suocera. Per il loro avvocato Ernesto D’Andrea "la pena è stata rideterminata secondo criteri di giustizia: i fatti non richiedevano la condanna chiesta dal pm". Lui spiega così l’unica assoluzione: "Quando Ghilardini dice di aver chiamato la figlia, la telefonata è avvenuta dopo la morte". Sul resto il legale annuncia ricorso in Appello.
Il fratello Claudio Pedrazzini si è costituito parte civile attraverso l’avvocato Naima Marconi: il giudice ha riconosciuto una provvisionale di 50mila euro e il risarcimento in sede civile. La vedova Ghilardini è assistita dall’avvocato Rita Gilioli: "Ci difenderemo nel dibattimento – dichiara il legale –. Rimaniamo fermi nel sostenere che lei sia stata succube degli altri due".