ALESSANDRA CODELUPPI
Cronaca

Assolti i tre funzionari di Aipo: "Impossibile disporre interventi. Fu un evento imprevedibile"

Il giudice Ghini accoglie la richiesta di proscioglimento avanzata dal pm Galfano. Sui pericoli sottovalutati, ha detto l’accusa, "alla luce delle consulenze non c’è chiarezza".

Il giudice Ghini accoglie la richiesta di proscioglimento avanzata dal pm Galfano. Sui pericoli sottovalutati, ha detto l’accusa, "alla luce delle consulenze non c’è chiarezza".

Il giudice Ghini accoglie la richiesta di proscioglimento avanzata dal pm Galfano. Sui pericoli sottovalutati, ha detto l’accusa, "alla luce delle consulenze non c’è chiarezza".

Lunghe ore di argomentazioni tecniche, e scontro tra le parti, per sostenere se vi fossero responsabilità penali a carico di tre funzionari di Aipo imputati per l’alluvione di Lentigione, il disastro di acqua e fango in cui si risvegliò il paese nella mattina del 12 dicembre 2017 a causa dell’esondazione dell’Enza. Poi, al termine di una camera di consiglio durata mezz’ora, il giudice Giovanni Ghini ha pronunciato la sentenza dopo le 18: "Assolti perché il fatto non sussiste". Il verdetto riguarda Mirella Vergnani, alla guida della direzione Emilia Occidentale dell’Aipo, l’ingegnere Massimo Valente, in passato dirigente della zona Emilia Ovest e il geometra Luca Zilli: per loro l’assoluzione era stata chiesta non solo dalle difese, ma anche dalla Procura. In aula è esplosa subito dopo la protesta coi cartelli dei cittadini del Comitato alluvionati, diretta a loro dire "al tribunale e anche alla Procura": "Lentigione ringrazia", hanno vergato nero su bianco per esprimere con sarcasmo "grande delusione".

La stessa pm Giulia Galfano aveva chiesto l’assoluzione: "L’azione penale è stata esercitata, serviva un processo per consolidare o meno alcuni elementi - ha detto il pm -. Ma, all’esito del dibattimento, sono emersi tanti dubbi sulla prevedibilità dell’evento e sulla condotta che si poteva esigere dagli imputati".

Opposta la tesi delle parti civili, che si sono dissociate dalla Procura e hanno chiesto la condanna e il risarcimento danni. Il pm Galfano ha dapprima richiamato le tre condotte negligenti e omissive contestate. Ovvero l’omessa manutenzione delle casse di espansione di Montecchio e l’incuria sull’argine di Lentigione a causa di vegetazione e detriti. Poi i rischi connessi alla piena che non dovevano essere sottovalutati in base ai bollettini allerta emessi da Arpae, alla luce anche della corda molle (cioè l’abbassamento) nell’argine e della riduzione del franco arginale "già emerso il giorno prima", aspetti non segnalati nella riunione del Ccs (Centro coordinamento soccorsi) indetta la sera prima dal prefetto. Sulle casse idrauliche, il pm ha snocciolato "difetti strutturali": "Ne erano state progettate sei, ma ne sono state realizzate due, non idonee a sostenere una piena duecentennale".

E poi: "Non si potè raggiungere la quota prevista di scavo: in una conferenza di servizi indetta dai Comuni di Montecchio e Montechiarugolo, si chiese il nulla osta al completamento delle opere ad Aipo che non lo diede". Il problema vegetazione "era noto ad Aipo, Comuni e Arpae. Ma Aipo - ha rilevato il pm - sollecitò interventi amministrativi e per le risorse economiche. Il 7 ottobre 2017 fu fatta un’esercitazione sulle casse in presenza dei tre imputati: erano consapevoli del verde presente e fu avviato l’iter per risolvere".

Il pm ha anche ricordato che Aipo "sollevò la mancanza di fondi per fare interventi oltre l’ordinario e l’impossibilità di fare quelli di somma urgenza". Galfano ha richiamato le divergenze emerse tra i tre ingegneri nominati dalla Procura ("Si sono scontrati") - Marco Mancini, Paolo Bizzarri e Paolo Mignosa - sul fatto se la pulizia delle casse avrebbe evitato il disastro: "Alla fine Bizzarri si allinea a Mancini: il corretto funzionamento delle casse avrebbe permesso di dimezzare i metri cubi al secondo, da 800 a 400, ma ci sarebbe stato comunque il sormonto perché la portata d’acqua smaltibile a Lentigione viene individuata in 380. I suoi calcoli non tenevano conto della corda molle".

Sui pericoli sottovalutati e non segnalati, "alla luce delle consulenze non c’è chiarezza e si potevano fare ulteriori approfondimenti". Anche sul mancato posizionamento dei sacchetti di sabbia, "in base ai bollettini Arpae e agli strumento di pianificazione, come il Piano di assetto idrogeologico (Pai) del 2001, rimane il dubbio che quel tratto di argine non fosse idoneo a contenere la piena duecentennale di cui si parla nel Pai. Il punto critico individuato da tutti è invece il ponte di Sorbolo, dove fu attivato il servizio di piena e si chiese la posa dei sacchetti. Nella riunione del Ccs alle 23 dell’11 dicembre dove si reca Valente, non si segnalò la criticità di Lentigione, ma altre".

Il franco arginale "era già calato a meno di un metro nel pomeriggio del giorno prima, ma non vi fu segnalazione allora, bensì solo a ridosso dell’evento". Sui sacchetti di sabbia, "i consulenti tecnici non concordano sulla lunghezza di argine interessato a questo tipo di intervento e neppure l’altezza raggiungibile e quanti sacchetti sarebbero serviti".

Da qui il pm conclude a favore degli imputati: "Non potevano prevedere l’evento e predisporre interventi".