ALESSANDRA CODELUPPI
Cronaca

Appello Grimilde, pene inasprite. Francesco Grande Aracri ruolo apicale

Per lui si passa da 19 a 24 anni. Viene considerato come esponente di spicco della cosca. Il figlio trova un accordo e scende da 12 anni a 9. Conferme per i due Oppido di Cadelbosco.

Appello Grimilde, pene inasprite. Francesco Grande Aracri ruolo apicale

Appello Grimilde, pene inasprite. Francesco Grande Aracri ruolo apicale

Pene aggravate nel secondo grado di giudizio. E Francesco Grande Aracri (1954), residente a Brescello, il fratello del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, riconosciuto con un ruolo apicale, all’interno della cosca di ‘ndrangheta. È quanto hanno stabilito ieri i giudici della quarta sezione penale della Corte d’Appello di Bologna nel secondo grado di giudizio del processo ‘Grimilde’ con rito ordinario, che vede al centro gli illeciti contestati alla famiglia Grande Aracri originaria di Cutro e trapiantata da decenni nel paese della Bassa reggiana e ai suoi presunti sodali. Davanti alla Corte reggiana, in primo grado, erano sfilati 16 imputati. Di questi, tredici hanno affrontato il secondo grado di giudizio, in quanto il verdetto è stato impugnato dalle difese e per quattro di loro (Francesco Grande Aracri, Paolo Grande Aracri, Gregorio Barberio e Nunzio Giordano) anche dalla Dda. Per Francesco Grande Aracri è stata confermata la condanna per associazione mafiosa, con pena aumentata da 19 anni e mezzo a 24 anni. Per lui è stato accolto il ricorso del pubblico ministero della Dda Beatrice Ronchi sul suo ruolo dentro il sodalizio mafioso: a differenza di quanto decisero i giudici di primo grado, gli è stato riconosciuto un ruolo di vertice all’interno della cosca. Per il figlio Paolo Grande Aracri (1990) di Brescello, che era stato condannato per mafia a 12 anni e 2 mesi, in Appello si è fatto un concordato a 9 anni. Per Gregorio Barberio (1989) di Reggio Emilia, leggero inasprimento: si passa da 2 anni e 4 mesi a 2 anni e mezzo. Ribaltamento per Salvatore Caschetto (1969) di Rosolini (Sr): era stato assolto dai giudici reggiani "perché il fatto non sussiste"; ora è stato dichiarato responsabile di un’accusa ed esclusa l’aggravante mafiosa è stato condannato a 8 mesi. Stessa parabola per Nunzio Giordano (1968) di Montecchio: era stato assolto in primo grado, adesso la sentenza in Appello lo ha riconosciuto responsabile, condannato a 1 anno e 10 mesi. Francesco Paolo Passafaro (1996) e Giuseppe Passafaro (1968), entrambi di Viadana (Mn), erano stati condannati a 1 anno e 4 mesi, 400 euro di multa, pena sospesa. In secondo grado, un reato è stato dichiarato prescritto per entrambi e la condanna è diventata di 1 anno, 2 mesi e 300 euro di multa. Altre posizioni sfilavano in Appello, per le quali la pena comminata in primo grado risulta confermata. Si tratta di Domenico Oppido (1976), ex consigliere comunale di Cadelbosco a 6 anni e 4 mesi e del padre Gaetano Oppido (1948) a 3 anni e 8 mesi, entrambi imprenditori edili Cadelbosco: padre e figlio sono finiti a processo per uno degli affari, ribattezzato dagli inquirenti col loro cognome, il più grosso del sodalizio mafioso, cioè la truffa ai danni del ministero delle Infrastrutture del valore di 2 milioni e 200mila euro. Pena confermata anche per Pietro Passafaro (1995) di Viadana (Mn) a 2 anni, pena sospesa; Matteo Pistis (1997) di Brescello, 2 anni e 4 mesi; Roberto Pistis (1965) di Brescello, 2 anni, pena sospesa; Antonio Rizzo (1983), Cadelbosco, 1 anni e 4 mesi.