"Dobbiamo fare tutto quello che serve per fare in modo che i giovani italiani emigrati possano tornare e operare nel loro Paese di origine, per dare il loro contributo allo sviluppo economico e sociale dell’Italia. Il Paese ha bisogno di loro e dell’esperienza che hanno acquisito per migliorare nella cultura del lavoro e di impresa". Sono le parole di Fabio Storchi, presidente del Gruppo Emiliano-Romagnolo dei Cavalieri del Lavoro, all’indomani di una visita a Roma al centro di formazione Elis, ente di formazione no profit che organizza corsi e master con l’obiettivo di inserire in azienda i migliori talenti.
"Stipendi più alti per i giovani che entrano nel mondo del lavoro, possibilità di carriera professionale, dedicarsi alla ricerca e un contesto lavorativo accogliente, capace di promuovere le potenzialità di ciascuno, in grado di dare prospettive di crescita e di far conciliare i tempi di vita e lavoro" così Storchi declina le azioni strutturali che dovrebbero essere attivate con una forte sinergia pubblico-privato, alla luce anche dal recente rapporto "La nuova emigrazione italiana: cifre, ragioni ed effetti" realizzata dalla Fondazione Nordest.
Il quadro che emerge è impietoso: dal 2011 al 2023 sono emigrati 550mila giovani, tra i 18 e i 34 anni, con un saldo migratorio che risulta negativo per -377mila unità. Una nuova emigrazione analoga a quelle del passato, ma con una natalità ai minimi storici dall’Unità d’Italia. Per nove italiani che se ne vanno, si registra l’arrivo di uno straniero. Tra le destinazioni preferite dei giovani emerge la Svizzera, al primo posto, seguita da Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca. Il rapporto ha analizzato i motivi che spingono all’espatrio: al primo posto la buona reputazione dell’impresa, poi l’apertura internazionale dell’azienda, il team di lavoro, l’attenzione alle diversità e all’inclusione sociale e, al sesto posto, seppur staccato di pochissimo dalle precedenti motivazioni, la retribuzione.
Seguono un’atmosfera aziendale piacevole, la competenza dei dirigenti, la sicurezza del posto di lavoro, il sentirsi ascoltato nelle proprie esigenze dai superiori e le prospettive chiare del percorso di carriera. E ancora, non vogliono tornare perché ‘non ci sono le stesse opportunità di lavoro; non c’è spazio per i giovani’ e, dove risiedono ‘la qualità di vita è migliore’.