MASSIMO TASSI
Cronaca

Albero e presepe di una volta. Pochi soldi, ma atmosfere magiche

Non esistevano le luminarie, gli addobbi venivano fatti con carte colorate e batuffoli di cotone

Il Natale di una volta di. Vainer Marconi

Il Natale di una volta di. Vainer Marconi

Albero di Natale e presepe, tanto, tanto tempo fa, nel Reggiano.

Entriamo in cucina, l’ampia stanza dove prevalentemente si svolgeva la quotidianità. Era riscaldata da un camino o da una stufa, dove scoppiettavano i ceppi di legno.

Lì c’era l’albero di Natale. Come alternativa, veniva collocato nell’ingresso. Spesso non era un vero e proprio alberello, ma si trattava di rami di oleandro, di quercia o di biancospino, infissi in un vaso, decorati dai bambini con materiali poveri e naturali (la scena è qui ricostruita dall’illustratore Vainer Marconi).

La preparazione era come un rito e creava una certa aspettativa tra i più piccoli. Il ramo veniva abbellito con nastrini colorati che provenivano dal cesto del ricamo e del cucito di casa. Abbondavano le carte colorate, ritagliate per ricavarne stelle o altre forme fantasiose. Poi, qualche pallina. Una spruzzata di neve poteva essere imitata da batufoli di cotone. Le luminarie elettriche erano sconosciute.

Un tocco esotico, gastronomico rimando a luoghi lontani, era dato da mandarini o "partugal" (arance), appesi con cordicelle. I frutti dovevano colmare i vuoti lasciati dalle poche palline disponibili e, in più, solleticavano il palato. Sempre appese, ecco le ghiottonerie per i bambini: caramelle, arachidi o cioccolatini. E una volta mangiate, le carte colorate delle lifferie si trasformavano in altre decorazioni. Erano tempi economicamente difficili, sotto l’albero pochi regali: un torrone, cose utili come sciarpa o guanti, oppure un libro tanto desiderato.

Mentre nella stanza si spandeva il buon profumo del brodo per i cappelletti e della carne che stava cuocendo, i bambini giocavano con il presepe. Dovevano fare attenzione, perché le statuine erano di gesso, delicate, e si potevano spezzare facilmente. C’era il rischio di trovarsi tra le mani la testa del bue o dell’asinello, mozzata. Le montagne venivano plasmate con cartoncino e pezzi di legno, a ricordare con libertà immaginifica le brulle colline che circondano Betlemme, scenario della natività lontano migliaia di chilometri. Sempre con legno e cartone veniva realizzata la grotta per la Sacra famiglia. Il tutto era abbellito con muschio raccolto lungo i fossi, sulle cortecce degli alberi e sulle pietre collinari. Una parsimoniosa spruzzata di farina imitava una soffice e pittoresca nevicata.

C’era anche un presepe condiviso: era quello della chiesa. A volte le famiglie convogliavano le poche risorse sull’albero, perché poi i bambini sarebbero comunque andati in parrocchia per realizzare quello della comunità, grande, collocato in chiesa o nella canonica. Anche qui i materiali erano al naturale, poveri, di recupero. E se qualcuno aveva estro artistico, realizzava lo scenario di fondo sui cartoni, utilizzando le tempere. Era, e dopotutto ancora è, il mistero, la magia del Natale.