Reggio Emilia, 28 giugno 2019 - La chiamavano "macchinetta dei ricordi". Elettrodi che venivano applicati su corpo e fronte dei bambini, in grado di produrre stimolazioni elettromagnetiche durante i colloqui con gli psicoterapeuti. Un apparecchio prodotto negli Usa e senza alcuna certificazione Ue, di cui non si conoscono gli effetti sulla salute. Un sistema che serviva ad alterare «lo stato della memoria in prossimità dei colloqui giudiziari». E forse non è un caso che alcuni dei piccoli coinvolti, oggi adolescenti, soffrono di disturbi psichici, di tossicodipendenza o manifestano segni di profondo disagio fino all’autolesionismo.
LEGGI ANCHE Ecco tutti i nomi degli indagati - Il procuratore capo: "L'inchiesta non è finita" Era questa una delle tecniche utilizzate dal sistema dei servizi sociali - nell'ambito dello scandalo del racket degli affidi (foto), scoppiato nel Reggiano (video) - per condizionare le testimonianze dei minori che in diversi casi venivano falsificate, come i loro disegni con l’aggiunta di connotazioni sessuali – stando alle accuse della procura di Reggio – con la redazione di verbali con le dovute omissioni. Ma non l’unico escamotage. Nell’inchiesta ‘Angeli&Demoni’ si fa riferimento a 9 casi in cui sono coinvolti dieci bambini (tra cui una coppia di fratellini) dai 2 agli 11 anni all’epoca dei fatti contestati.
Decine e decine sono state le lettere e i regali che negli anni i genitori naturali avevano consegnato agli assistenti sociali per donarli ai figli. Ma venivano nascoste in un magazzino, senza essere mai date loro. Questo faceva parte del meccanismo di vessazione psicologica nei confronti dei minorenni che venivano portati all’autoconvincimento del fatto che madri e padri non li volessero più.
Oppure in qualche seduta, i terapeuti indossavano persino maschere dell’orrore o dei personaggi cattivi delle fiabe, rappresentando i genitori cattivi. Ma la fantasia supera ogni limite. Tra le vittime dei soprusi pure quella di un bambino tolto ai genitori per le inesistenti molestie subite da parte del padre a cui veniva consigliato di fare un «funerale» al papà. Come scrive il gip nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari, la psicoterapeuta «suggeriva al minore di intraprendere una terapia definita ‘una sorta di elaborazione del lutto’ per considerare emotivamente morto il padre».
Spesso i piccoli venivano prelevati a scuola, senza avvertire i genitori che sarebbero stati presi in affido dai servizi sociali. Nel disporre le misure cautelari per il pericolo di reiterazione del reato, il Gip descrive così il comportamento degli indagati: «La loro percezione della realtà, della propria funzione, è totalmente pervertita e asservita al perseguimento di obiettivi ideologici non imparziali».