di Alessandra Codeluppi
Nel processo sui presunti affidi illeciti di bambini, una testimone citata dalla procura ha associato in udienza il nome di un giudice (non lo diremo per tutelarne l’onorabilità) a una fantomatica setta di pedofili, della cui esistenza sarebbero stati convinti alcuni imputati. La circostanza, emersa nella scorsa udienza, è stata ribadita anche ieri dalla teste, un’assistente sociale che lavorò in Val d’Enza tra il 2017 e il 2018, e che, secondo l’accusa, sarebbe stata oggetto di pressioni dall’ex responsabile dei servizi sociali Federica Anghinolfi. Ma ieri, nel controesame dell’avvocato Nicola Canestrini, che difende l’assistente sociale Francesco Monopoli, la donna ha confermato che non le sono mai stati imposti falsi e neppure ne ha mai visti commettere. Nella scorsa udienza, ha riferito una presunta circostanza finora inedita, ovvero che l’assistente sociale Francesco Monopoli le avrebbe anticipato che in un incontro con un minore gli avrebbe ricordato ciò che aveva già detto. Ieri la teste ha però corretto il tiro, scagionandolo: "Non mi piaceva il suo atteggiamento da assistente sociale, ma Monopoli non mi disse che avrebbe ricordato al bambino specifiche circostanze, oggetto poi di incidente probatorio. L’atteggiamento di Monopoli era che al bambino bisognasse sempre credere. E anch’io lo credevo".
Su un’altra bambina ora al centro del processo, lei dice di non rammentare i nomi dei due giudici che seguirono il suo caso in un’altra vicenda giudiziaria. "Ma lei non li ricordava neanche quando fu sentita dal pm – obietta il legale rivolto alla teste – che però glieli suggerì quando lei fu sentita il 2 settembre 2019". E poi ha legato anche ieri il nome di un giudice alla setta. "Ma quando lei fu sentita dal pm – ha rilevato Canestrini – disse che non sapeva il nome dei magistrati". L’avvocato ha poi ricordato che fu quello stesso giudice a emettere una condanna su un grave caso di pedofilia, circostanza che la teste ha detto di non sapere.
Canestrini ha depositato una memoria in cui sostiene che l’attendibilità della teste è compromessa perché gli inquirenti, quando la sentirono a sommarie informazioni, le suggerirono i nomi dei due giudici.
All’inizio dell’udienza, si è tornati sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal pm Valentina Salvi, ieri raggiunta in aula anche dal procuratore capo Calogero Gaetano Paci, sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio voluta dal Governo, approvata di recente e difesa dal ministro Carlo Nordio. Il collegio dei giudici, presieduto da Sarah Iusto, a latere Michela Caputo e Francesca Piergallini, deciderà il 7 ottobre. Ieri ha preso la parola il professor Vittorio Manes, codifensore dell’ex sindaco di Bibbiano Andrea Carletti insieme all’avvocato Giovanni Tarquini. Secondo Manes, "la questione è infondata e anche inammissibile: si chiede alla Corte Costituzionale un intervento che non può fare, perché non vi è alcuna violazione del principio di eguaglianza. E poi la scelta legislativa è stata adottata nella piena discrezionalità del parlamento: opinabile quanto si vuole, ma la critica politica non significa illegittimità costituzionale, a meno che non ricorrano vincoli stringenti di mantenere in vita un certo reato, che però a oggi non ricorrono né sul piano interno né su quello internazionale. La Convenzione delle Nazioni unite lascia liberi gli Stati di valutare se incriminare o meno l’abuso d’ufficio e pure gli atti normativi dell’Ue".
L’avvocato Paolo Colliva per l’ex sindaco di Montecchio Paolo Colli ha chiesto ieri l’assoluzione dall’abuso d’ufficio. Ha depositato le lettere alla Fondazione emiliano romagnola per le vittime dei reati di altri due sindaci che firmarono la medesima delibera contestata (datata 6 maggio 2016): "Tutti i testi hanno detto che lui firmava solo perché era sindaco". Anche l’avvocato Andrea Stefani ha chiesto l’assoluzione con formula piena da un’accusa rivolta a Fadia Bassmaji e Daniela Bedogni, in concorso col pubblico ufficiale Anghinolfi, sul versamento di una retta doppia per la bambina loro affidata: "Manca la prova della consapevolezza che potesse essere un eventuale trattamento di favore".