
Il frame del video diffuso dall’Ansa nel quale si vede il detenuto incappucciato e portato con la forza nella sua cella dagli agenti
di Alessandra Codeluppi
"Un uomo ridotto a essere un ‘non uomo’". Ha usato parole veementi, il pubblico ministero Maria Rita Pantani, per descrivere il trattamento che, a suo dire, avrebbe ricevuto un detenuto tunisino, oggi 44enne, in passato nel carcere della Pulce, da parte degli agenti della polizia penitenziaria che lui denunciò: "Si ritrovò in loro balia, trattato come un oggetto". Al culmine di quattro ore di requisitoria, ieri il pm ha chiesto la condanna per tutti e dieci i poliziotti imputati, accusati a vario titolo dei reati di tortura aggravata – perché commessa da pubblici ufficiali, con abuso di potere e violando la disciplina della loro funzione –, lesioni al 44enne, oltreché di falso nelle relazioni riguardanti l’episodio contestato, datato aprile 2023 e raccontato in anteprima dal Carlino. Davanti al giudice dell’udienza preliminare Silvia Guareschi, ieri è stato mostrato il video delle telecamere interne che riprende l’accaduto: "Si è trattato di un’azione punitiva preordinata, concordata e condivisa", ha scandito il pm che si è scagliata anche contro "la grande omertà". Tutti hanno scelto il rito abbreviato, che permette lo sconto di un terzo in caso di condanna.
Il pm Pantani ha chiesto 5 anni e 8 mesi per un 46enne viceispettore della polizia penitenziaria, che deve rispondere di tutte e tre le accuse. Per altri sette agenti sono stati invece domandati 5 anni: si tratta di due 51enni, un 50enne, un 36enne, due 37enni e un 30enne. Richiesta più lieve, 2 anni e 4 mesi, per un viceispettore 52enne e un assistente capo 50enne che sono accusati solo di falso nelle relazioni. Otto di loro hanno offerto un risarcimento di mille euro a testa al detenuto. Secondo la ricostruzione accusatoria, il detenuto uscì dalla stanza della direttrice del carcere dopo averla insultata per essere stato sanzionato per condotte che violavano il regolamento del carcere. Fu incappucciato con una federa stretta al collo, colpito con pugni mentre veniva spinto, con le braccia bloccate, verso il reparto di isolamento. E fatto cadere a terra con uno sgambetto, colpito con schiaffi, pugni a calci. Gli fu torto un braccio e poi sarebbero saliti sulle sue caviglie, calpestandolo con le scarpe d’ordinanza. Poi sollevato di peso, denudato e condotto in cella di isolamento. Qui, non più col volto coperto, sarebbe stato preso a calci e pugni e poi lasciato nudo dalla cintola in giù per oltre un’ora, malgrado si fosse autolesionato e sanguinasse. Il pm Pantani ieri si è soffermata anche sulle differenze con lo spit hood, un cappuccio antisputo in dotazione alle forze di polizia in alcuni Paesi, tra cui risultavano gli Stati Uniti, e bocciato da Amnesty international: "A Reggio il telo copriva del tutto occhi e bocca, non permetteva di parlare e aumentava il battito cardiaco in in uomo già sottoposto a forte stress". Ha parlato di "gravità maggiore" data dalle ricostruzioni scritte degli agenti "per coprire tutto l’accaduto".
"Una pagina bruttissima e non isolata – ha rincarato il pm – perché il cappuccio fu usato anche per un altro detenuto nel 2021". In quest’ultimo caso, raccontato dal Carlino, l’uomo, pure lui tunisino, fu trasferito da Reggio a Piacenza: qui fu accolto dagli agenti della penitenziaria che lo videro ferito, lo fotografarono e lo mandarono al pronto soccorso. Dal carcere piacentino partì una denuncia d’ufficio a cui se ne aggiunse una dello stesso detenuto; mancavano però le telecamere e non fu possibile individuare gli autori. A Piacenza i colleghi attestarono che lui estrasse una lametta dalla bocca. Tornando al caso di Reggio, in base alla ricostruzione investigativa, alla Pulce fu attestato falsamente che il 44enne cercò di colpire gli agenti con una lametta sputata, contenente tracce di sangue e che avrebbe attinto il viceispettore 46enne al colletto, e che gli erano state trovate lamette in tasca.
L’imputato ha riferito in aula di averle buttate, mentre per il pm "non esistevano ma sono state evocate solo per costruire una linea difensiva e giustificare a posteriori l’attività illecita". La parola passerà alle difese nella prossima udienza in dicembre. L’avvocato Federico De Belvis, difensore del viceispettore 46enne, commenta come "alte, ma prevedibili" le richieste del pm, "anche alla luce della sua articolata requisitoria", e parla di "impianto accusatorio che può essere aggredito".