Ravenna, 19 maggio 2016 - Non solo non aveva un tumore maligno. Ma non aveva nessun tumore. Una diagnosi errata che le è costata un polmone, asportato completamente. Protagonista del caso è un’insegnante di Cervia in pensione oggi 77enne.
La sua vicenda si innesca a fine 2012 quando la donna, per via di alcuni disturbi, si sottopone ai primi controlli radiografici. Successivi accertamenti ad alta risoluzione, questa volta del giugno 2013, mettono in evidenza la presenza di un nodulo nel polmone sinistro. Da una nuova verifica in ospedale a Ravenna emerge che quel nodulo sta crescendo e che ha profili irregolari. Seguono visite specialistiche al termine delle quali la signora il 21 agosto 2013 viene ricoverata nella clinica convenzionata Maria Cecilia Hospital di Cotignola.
Quel nodulo va rimosso: e il giorno dopo viene eseguito l’intervento. È a questo punto che le cose si complicano perché quando il nodulo viene inviato all’ospedale di Ravenna per un esame specifico (istologico intraoperatorio), la diagnosi che viene formulata è di quelle da capogiro: adenocarcinoma, ovvero un tumore del polmone particolarmente aggressivo tanto da avere una probabilità di sopravvivenza media ai 5 anni inferiore al 15%. Con quella diagnosi in mano, i chirurghi di Cotignola decidono di ampliare la rimozione. E, anche alla luce di alcune criticità, optano per rimuovere il polmone.
L’operazione riesce e dopo una settimana la donna viene dimessa. Le indicazioni sono di riposo e di frequenti visite alla Chirurgia Toracica di Ravenna. La sorpresa arriva il 6 settembre quando, all’ennesima vista, la pensionata viene informata che il tumore non c’era. Per il referto istologico definitivo si trattava di bronchite obliterante cronica (o Boop), malattia infiammatoria del polmone. Nessun tumore maligno, ma la felicità del momento lascia via via spazio alla rabbia per quel polmone asportato.
Dopo qualche mese la donna viene visitata da un medico legale di fiducia. La relazione del professor Adriano Tagliabracci è netta: vi si va riferimento «all’errore diagnostico intraoperatorio compiuto dagli anatomopatologi che hanno armato la mano del chirurgo». E la responsabilità dell’asportazione «del polmone sinistro – continua la relazione – è ascrivibile a questa errata diagnosi eseguita sul nodulo asportato durante l’intervento». Perché «prima di emettere una diagnosi secca di adenocarcinoma, occorre avere elementi certi; altrimenti a scopo prudenziale si può anche usare una terminologia probabilistica» che «indurrebbe il chirurgo a soppesare ed eventualmente ad astenersi». Per l’esperto insomma siamo di fronte a un «danno evitabile per intero» che ha prodotto un danno biologico permanente quantificato nel 35-40%.
È a questo punto che la vicenda arriva sul tavolo del giudice civile Alessandra Medi: l’avvocato della donna, Giuseppe Della Casa, cita sia l’Ausl Romagna che l’anatomopatologa che aveva formulato la diagnosi. E chiede al tribunale di nominare un proprio esperto per chiarire l’accaduto, quantificare il danno e tentare di ricomporre la lite nell’ambito di una fase che viene definita di accertamento tecnico preventivo. Sia la dottoressa (rappresenta dall’avvocato Lucia Casadio) che l’Ausl (avvocato Alberto Gamberini) si sono già costituiti per chiedere che la richiesta dell’insegnante venga rigettata in quanto chi ha proceduto, lo avrebbe fatto rispettando tutte le linee guida e comunque nell’ambito di una situazione complicata che «poneva forti sospetti di tumore». Di fatto quel tumore non c’era.