ANDREA COLOMBARI
Cronaca

"Nessun segno di trauma sul corpo". Morte di Yanexy: è ancora mistero

Le motivazioni: "Evidenziate discrasie, cruciale un nuovo giudizio"

Marco Cantini con il suo avvocato

Ravenna, 5 novembre 2015 - Il medico legale nominato dal tribunale non aveva trovato nessun segno traumatico sul cadavere della giovane. A questo aggiungete che era stato escluso anche l’uso di narcotici, e otterrete il nucleo forte delle motivazioni della sentenza con la quale la Cassazione ha annullato la condanna inflitta per l’omicidio di Yanexy Gonzales Guevara, la 23enne cubana il cui cadavere era stato trovato il 2 settembre del 2008 in un pozzo di campagna di Passogatto di Lugo. Cioè giusto a poche centinaia di metri dalla casa che la ragazza condivideva con il marito, il 42enne imprenditore edile lughese Marco Cantini.

Ed è proprio lui che in appello il 3 aprile del 2014 a Bologna aveva rimediato 23 anni e mezzo di reclusione dopo avere incassato il 4 dicembre 2012 l’assoluzione dalla corte d’Assise di Ravenna la quale nell’occasione lo aveva pure scarcerato.

VENTI PAGINE quelle dei giudici della Suprema Corte presieduti da Umberto Giordano nelle quali si sottolinea che per Cantini «è di cruciale importanza un nuovo giudizio» in cui si deve tenere conto delle «discrasie evidenziate».

La difesa – avvocato Giovanni Scudellari – quelle lamentate discrasie le aveva raccolte in un fitto ricorso di un centinaio di pagine. Motivi che oltre all’autopsia, invitavano alle rilettura di altri indizi come le tracce di terriccio sulla vittima o i capelli di lei nella Bmw di lui. E che i giudici romani hanno in larga parte accolto e che ora fanno tornare indietro la vicenda al tempo nel quale sulla morte della ragazza aleggiava pure il sospetto di un suicidio anomalo.

Dopotutto la dottoressa Valentina Vasino, sentita l’11 aprile del 2012 durante il primo grado, «precisava che nessun elemento lasciava ipotizzare segni traumatici sul cadavere sulla base della valutazione eseguita al momento della sua estrazione dal pozzo».

La Vasino era stata esplicita sul punto, dichiarando questo: «Non mi viene in mente nessun elemento che in quelle condizioni di cadavere appena estratto dall’acqua, fresco, non fosse rilevabile a un esame autoptico».

E tuttavia – insistono sul punto gli Ermellini – «nonostante tali inequivocabili conclusioni», nelle motivazioni della condanna in appello «con un percorso argomentativo travisante, la Corte giungeva ad affermare che la dottoressa Vasino avrebbe ammesso che una ecchimosi, con un cadavere in quello stato avanzato di putrefazione, non sarebbe stata rilevabile». Le verifiche andavano in altra direzione, come peraltro sottolineato dalla sentenza di primo grado del giudice Milena Zavatti: «Le condizioni del cadavere non erano tali da impedirne l’individuazione di segni di soffocamento». A cui va aggiunta un’altra considerazione medico legale: «L’esclusione di uno stordimento per via narcotica o per inalazione di etere».

CARENZE nella motivazione di condanna vengono inquadrate anche sulle modalità con le quali Cantini avrebbe ucciso la moglie: «Si riteneva che la morte o lo stato di coma» della ragazza «potessero derivare» dal soffocamento con una sportina di plastica recuperata con lo svuotamento del pozzo. Conclusioni queste definite «in contrasto con la perizia della dottoressa Vasino» secondo cui «solo una chiusura ermetica del sacchetto, che avrebbe lasciato segni di infiltrazione invece non rilevati, poteva provocare una perdita di coscienza».

Che dire poi del fatto che sulla 23enne non era stata trovata «alcuna traccia di violenza fisica» sulle quale è stata però «fondata la decisione di condanna». Se la ragazza fosse stata cosciente, sarebbe stata «ragionevolmente forsennata così da lasciare anche segni di tentativi di difesa» tuttavia «non reperiti». Nel complesso, una «ipotesi ricostruttiva» quella formulata in appello per l’omicidio della 23enne che «non sembra trovare fondamento medico legale o processuale». E l’appello bis dovrà ripartire proprio da qui.