Ravenna, 22 febbraio 2024 – Lui in quel momento si trovava ai domiciliari per via di abusi sessuali compiuti sulla fidanzatina 14enne del figlio mascherati da lezioni di sesso e costatigli già una condanna definitiva a 9 anni di carcere (uscirà nel 2029). E di sabato mattina, quando la moglie era via, approfittava della figlia a casa da scuola.
Violenze sessuali andate avanti per più di quattro anni da quando la piccola ne aveva 11. E che sono costate a un ultracinquantenne ravennate, un’ulteriore condanna a 9 anni di carcere: tanti ne ha chiesti ieri pomeriggio al termine del rito abbreviato il pm Stefano Stargiotti, e tanti ne ha inflitti il gip Andrea Galanti (si veniva da un giudizio immediato).
La difesa (Marco Gramiacci) non ha affondato nel merito della vicenda alla luce della piena ammissione dell’imputato: ma piuttosto sulla concessione delle attenuanti generiche. L’imputato, presente in videoconferenza dal carcere di Forlì, in precedenza attraverso spontanee dichiarazioni si era detto consapevole della pena a cui andava incontro e aveva confidato di sperare di essere, un giorno, nuovamente accettato dalla sua famiglia. Le motivazioni verranno depositate entro 90 giorni: è possibile che la difesa, su volontà dell’imputato, non faccia poi nessun ricorso in appello.
Il caso , come sintetizzato nell’ordinanza cautelare a firma del gip Janos Barlotti che era stata notificata all’uomo in carcere, era venuto a galla da una segnalazione della psicoterapeuta alla quale ad anni di distanza la ragazzina si era rivolta per superare il trauma. Gli inquirenti dell’apposita sezione della squadra Mobile avevano poi sentito la giovane con l’ausilio di una specialista: ed erano in effetti emersi gli abusi subiti dal padre.
In particolare l’uomo, dopo un breve periodo di custodia cautelare in carcere per il caso della fidanzatina del figlio, aveva ottenuto i domiciliari. E da subito aveva iniziato a rivolgere apprezzamenti alla figlia la quale ai suoi occhi stava facendo "il corpo da donna". Nel breve aveva alzato il tiro cominciando ad allungare le mani. Poi erano iniziati gli abusi: almeno finché la precedente vicenda non lo aveva nuovamente proiettato in carcere. Le violenze accadevano ogni settimana. E poco importa che la figlia gli rinfacciasse che "faceva schifo": lui ammetteva di essere un "padre pessimo" e prometteva di non rifarlo più: ma poi ci ricascava peraltro minacciando il suicidio nel caso una denuncia lo avesse fatto tornare in cella. Così la ragazzina per lunghissimi anni era rimasta in balìa di un logorante conflitto tra il bisogno di condividere e la paura di non essere creduta o addirittura di essere cacciata di casa. In tutto questo, a lei non era stata rivelata la ragione per la quale il padre si trovasse ai domiciliari. E in quel momento un po’ tutti erano convinti dell’innocenza dell’uomo.