CARLO RAGGI
Cronaca

Villa romana sepolta dal fango, la pioggia ha allagato gli scavi

Le precipitazioni di queste settimane hanno interrotto l’attività degli archeologi di monitoraggio dei resti a Classe. Preoccupa l’arrivo dell’inverno: per riportare la situazione alla normalità serviranno macchinari speciali

La villa romana a Classe coperta dal fango. Non sarà semplice rimuoverlo (foto Zani)

La villa romana a Classe coperta dal fango. Non sarà semplice rimuoverlo (foto Zani)

Ravenna, 2 novembre 2024 – Sono scomparsi sotto un fiume di fango i resti delle fondamenta della grande villa signorile extraurbana di età romano imperiale, affiorati oltre un anno fa, nei pressi della torre radar dell’Enav a Classe, durante gli scavi per l’interramento di due gasdotti di Rete Snam, portati alla luce dopo mesi di lavoro e che nel giugno scorso furono al centro di una serie di visite organizzate dalla Soprintendenza e dalla stessa Snam. Le torrenziali piogge che ripetutamente hanno interessato il Ravennate da metà settembre hanno allagato gli scavi facendo franare le sponde e riempiendo le aree di uno spesso strato di fango.

Alle conseguenze delle piogge è da aggiungere il fatto che nell’area la falda freatica è pressoché superficiale tanto che anche in piena estate sono rimaste in funzione le idrovore e lo sono tuttora.

L’area è presidiata dal personale e dai mezzi attivati dall’azienda archeologica Gea di Parma incaricata a suo tempo dei lavori finalizzati prima al sondaggio preventivo dell’area e poi, una volta individuato il sito archeologico due metri sotto il piano di campagna, agli scavi per portare alla luce i reperti, una operazione condotta sotto la vigilanza dell’archeologa Sara Morsiani della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio di Ravenna e finanziata da Snam Rete Gas.

Quanto accaduto ha bloccato l’attività degli archeologi finalizzata al completo monitoraggio dei resti della sontuosa villa, dotata anche di un impianto termale; tutta l’area, come si diceva, è inaccessibile in quanto invasa dal fango che a causa delle continue piogge non è consolidato. Verosimilmente per rimuoverlo potrebbero essere necessari macchinari particolari. Dopodiché, una volta ripristinate le condizioni iniziali (vista la stagione invernale cui si va incontro è impossibile stabilire quando ciò potrà avvenire) gli archeologi dovrebbero concludere il lavoro di monitoraggio e quindi passare all’atto finale che consiste nella copertura degli scavi con teli di particolare materiale non alterabile e nell’interramento dei resti della costruzione con la restituzione del terreno agli aventi diritto.

La trasformazione degli scavi in acquitrino, aggiunta alla superficialità della falda freatica, rende ancor più evidente l’ineluttabilità della soluzione finale dell’interramento, decisione peraltro adottata fin da subito ma contestata da più parti: al di là di ogni altra considerazione, quanto accaduto rende palese quale gigantesco e costoso lavoro sarebbe necessario per tenere asciutta l’area dato la ben prevedibile e frequente ripetizione di eventi atmosferici estremi. La villa, databile al primo secolo dell’era moderna, sorgeva in un’area che in epoca romana era prossima al tracciato dell’antica via Popilia che correva a breve distanza dal mare (duemila anni fa Classe era praticamente in riva all’Adriatico e nel VI secolo era un importantissimo porto). Oltre che dell’impianto termale, l’edificio era dotato anche di dimore per la servitù, aree per animali e colture. Sulle rovine della villa, nel VI secolo fu eretta una basilica (di cui non è mai stata trovata traccia scritta). Nella zona, peraltro, a neppure un chilometro verso sud, all’epoca era eretta un’altra basilica, la ‘Cà Bianca’, i cui resti affiorarono negli anni Sessanta e anch’essa poi riseppellita.

In una stanza della villa è venuto alla luce un tratto di pavimento a mosaico geometrico mentre la struttura più interessante è un profondo corridoio ipogeo, in cui affiorava acqua di falda al centro del quale, sulla base anche di reperti rinvenuti, verosimilmente era applicata una ruota in legno per il sollevamento dell’acqua e la sua canalizzazione in condotte di piombo a uso e consumo dei servizi e soprattutto dell’impianto termale. Su questo fronte sono state rinvenute le condotte realizzate con laterizi, cave all’interno, per il riscaldamento degli ambienti. In tale contesto, fra i reperti rinvenuti vi sono le ‘scatole’ in legno originariamente agganciate alla ruota per il caricamento dell’acqua e i perni di aggancio, reperti rimasti nell’umidità sotto due metri di terra per venti secoli e per questo ancora ben conservati. Fra i reperti fittili recuperati vi sono parti di anfore, vasellame, ampolle in vetro che illustrano il tenore di vita di chi vi abitava.