REDAZIONE RAVENNA

Vena del Gesso, l’Ente non si sbilancia sulla cava

Nel Piano territoriale si auspica che non vengano intercettate le grotte di Re Tiberio, mantenendo l’obiettivo del riconoscimento dell’Unesco

Vena del Gesso, l’Ente non si sbilancia sulla cava

È stato reso pubblico alcune ore fa il Piano territoriale del Parco della Vena del Gesso, documento atteso da ormai diciotto anni, da quando cioè venne fondata l’area protetta, e che delinea il futuro di quest’ultima per i prossimi decenni. Per un intreccio dei destini il Piano territoriale ha visto la sua genesi incrociarsi con la candidatura Unesco dei Gessi dell’Emilia Romagna – sfociata lo scorso settembre nel loro ingresso nella lista dei Patrimoni dell’Umanità – e con il Piano delle attività estrattive fermo sulle scrivanie della Provincia. I tre documenti condividono un capitolo, quello cioè relativo alla cava di Monte Tondo, il cui sfruttamento è stato prorogato al 2024, e che la Regione e il Ministero dell’Ambiente si sono impegnati in sede Unesco a non ampliare, consentendo dunque estrazioni nell’attuale perimetro di cava unicamente per altri dieci anni circa. L’Ente Parchi Romagna, su questo punto, non si sbilancia nel chiedere a sua volta lo stop a qualsiasi ampliamento dell’area di cava, limitandosi ad auspicare il non intercetto del sistema di grotte di Re Tiberio, e raccomandando di "porre fine all’attuale ripiantumazione delle gradonate, che non ha dato risultati". Tuttavia l’Ente Parchi scrive di "porsi l’obiettivo del mantenimento della Vena del Gesso nella lista dei Patrimoni dell’Umanità". Mantenimento che, come è stato spiegato più volte in sede Unesco, è legato al non ampliamento della cava: naturalisti e speleologi, ad ogni modo, avrebbero voluto da parte dell’Ente Parchi una presa di posizione più netta.

La Vena del Gesso si può dire un habitat maturo in fatto di conservazione: gran parte delle specie originarie di questo ambiente sono ancora presenti qui, e fra quelle che si erano estinte alcune hanno fatto ritorno, come la starna eurasiatica o la felce Asplenium sagittatum, per le quali è in corso la reintroduzione. Un capitolo a parte meritano le specie in via estinzione: sono giudicate prossime alla minaccia cinque specie di mammiferi (fra queste il quercino, un roditore, e quattro specie di pipistrelli) e cinque di uccelli (nibbio reale, falco vespertino, ghiandaia marina, magnanina e tordo sassello). Vi sono però specie estinte decenni fa – o presenti poco frequentemente – che ancora non sono tornate sui gessi: il Piano chiede che siano "favoriti gli habitat di nidificazione e alimentazione di rapaci quali il grifone, il biancone e il lanario, e di passeriformi come calandro, averla capirossa, passero solitario e passera lagia". Più difficile immaginare un ritorno per "la rondine riparia, il culbianco e il codirossone, specie legate agli ambienti rocciosi aperti, danneggiati fra l’altro dai rimboschimenti effettuati negli anni ’50 del Novecento in aree prive di vegetazione". Proprio quei rimboschimenti costituiscono una pagina che l’Ente Parchi intende voltare: i boschi di pino nero, pino domestico, pino silvestre, cipresso sempreverde e dell’Arizona lasceranno il posto alla vegetazione autoctona, anche se talvolta le conifere rimarranno dove sono per favorire la presenza di alcuni rapaci.

Filippo Donati