
Usarono nel menù il marchio di Cannavacciuolo Gestori di ristorante di Marina a processo
di Andrea Colombari
Un menù consigliato da uno chef pluristellato, un ristorante rivierasco che cavallo tra anni ’80 e ’90 era frequentato dal jet set ravennate. Ricetta potenzialmente dirompente. Almeno fino a quando lo chef in questione, con voce baritonale, si è seduto davanti ai carabinieri e ha scandito questa frase: "Non ho nessuna collaborazione con quel ristorante e non ne ho mai sentito parlare". Lui si chiama Antonino Cannavacciuolo e tra pacche (di incoraggiamento) e paccheri (alle vongole) ha raggiunto il gotha culinario arrivando ad accumulare tra i suoi locali ben sette stelle Michelin e facendo da giudice in vari format televisivi di successo tra cui MasterChef Italia.
Loro, decisamente meno conosciuti, sono tre amministratori – il primo unico e gli altri due di fatto – di una società di Brescia che, secondo l’accusa, nel periodo in questione si era occupata della gestione del locale, il ristorante-pizzeria Saporetti di Marina di Ravenna. Si tratta di un 63enne bresciano difeso dall’avvocato Marco Agosti e di una coppia di origine straniera – una 32enne e un 50enne – entrambi di Marina Romea e difesi dagli avvocati Luigi Berardi e Chiara Belletti.
Nel processo che a fine mese si aprirà davanti al giudice monocratico del tribunale di Ravenna, dovranno rispondere in concorso di contraffazione o uso di opere dell’ingegno o di prodotti industriali (articolo 473 del codice penale) tra il settembre 2018 e il dicembre 2019. Proprio così: perché ‘Cannavacciuolo’ è un marchio depositato nel luglio 2017 all’ufficio Brevetti con concessione datata primo giugno 2018. Mica pizza e fichi insomma: per usarlo, occorre essere espressamente autorizzati dalla Cannavacciuolo consulting srl. E si arriva qui al nocciuolo della questione.
La prima a segnalare allo chef il potenziale abuso, è una sua ammiratrice culinaria: attraverso Facebook, il 9 settembre 2018 la donna gli riferisce di un volantino che a Marina di Ravenna pubblicizza la riapertura, il 14 di quel mese, del ristorante Saporetti "con menù di pesce e crudites curato dallo chef Antonino Cannavacciuolo". In seguito emergerà pure un camion vela con la gigantografia del nostro accostata al nome del ristorante.
E qui lo chef cala sul piatto il suo acume partenopeo dando incarico alla segretaria di telefonare al locale rivierasco fingendosi cliente interessata. La conversazione viene registrata: "Buonasera – dice la donna – volevo un’informazione, ho visto la vostra pubblicità per la riapertura di venerdì (…) ho visto che avrete un menù curato dallo chef". L’uomo dall’altra parte del telefono conferma: "Eeee… e abbiamo il menù curato da lui, perché a Mantova ci ha fatto la trasmissione con loro. Lui non sarà presente all’inaugurazione… in un futuro pensiamo… di fare… qualcosa con lui… in un futuro".
Lui invece va subito alla caserma più vicina alla sua residenza, la Stazione di Orta San Giulio (Novara) e ai militari la butta giù dura: "Sono rimasto basito da questa situazione – scandisce a verbale – in quanto non ho nessuna collaborazione con il ristorante Saporetti". E poi nemmeno ai ristoranti del format ‘Cucine da incubo’ ha mai dato un menù da associare "alla mia persona": ma al massimo una lista di portate a uso interno. Figurarsi ad altri.
Scattano le indagini coordinate dal pm Marilù Gattelli: i carabinieri della Stazione di Cesena il 18 ottobre ascoltano il titolare della srl cesenate che si era occupata del camion vela. E l’uomo, oltre a precisare che "il lavoro fatto dalla mia ditta non è mai stato pagato", indica il committente e restituisce un ulteriore particolare della vicenda ormai diventata scottante: lo aveva chiamato pure un altro signore qualificandosi come vecchio titolare del ristorante Saporetti e proponendogli la stessa domanda degli inquirenti: ma era davvero autorizzato a fare pubblicità usando l’immagine dell’illustre chef?. Dubbi peraltro reiterati anche in un post su Facebook scritto per evitare che "venisse fatto un uso non coretto del marchio Saporetti", ristorante "nel 2018 concesso in affitto a terze persone", vi si legge.
Ultima puntata davanti ai carabinieri della Stazione di Marina di Ravenna. A parlare è la 32enne ora indagata: il ristorante – dice la donna – si chiama ‘Primi in padella’, lei è solo una cameriera e assicura di avere ricevuto il menù in questione dalle grosse mani di Cannavacciuolo nel 2016 durante il programma ‘Cucine da incubo’ quando lei gestiva un ristorante a Mantova. Pensava insomma di poterlo usare: "Mi sembrava una cosa buona". In ogni caso, la frittata ormai è fatta.