In quel rapporto giudiziario compilato all’epoca dei fatti, erano già stati allineati tutti gli elementi di sospetto a carico dei tre odierni imputati. E 16 dei 17 punti attraverso i quali si snodava la relazione, li aveva scritti Antonio Di Munno, 62enne di origine barese oggi assicuratore ma in quel 1987 brigadiere dell’Arma e comandante della polizia giudiziaria alla pretura di Comacchio. A un certo punto fu trasferito a Ravenna anche per dare continuità alle indagini, ma quando sollecitò un superiore ("Vogliamo fare qualcosa?"), questa fu la risposta che ottenne: "Brigadiere, non ha ancora capito che la m... più si gira più puzza". La sua reazione? "Mi dimisi anche se non sapevo cosa sarei andato a fare ma ormai c’era un ambiente ostile dentro alla caserma: i colleghi me ne dicevano di tutti i colori".
Un’udienza, quella di ieri in corte d’assise, sospesa tra un rapporto giudiziario "mai inviato alla procura" e un esposto anonimo nel quale una fonte molto ben informata, riferiva che in diversi tra i militari avevano sospetti netti sulla paternità del sequestro di Pier Paolo Minguzzi, il 21enne studente universitario, rampollo di una famiglia di imprenditori di Alfonsine e carabiniere di leva alla caserma di Mesola, rapito a scopo di estorsione la notte del 21 aprile 1987 mentre rincasava e ucciso poco dopo. Tre gli imputati: oltre all’idraulico del paese, il 65enne Alfredo Tarroni, anche due ex carabinieri all’epoca in servizio ad Alfonsine: il 57enne Orazio Tasca e il 58enne Angelo Del Dotto. Il corpo del 21enne fu ripescato il primo maggio dal Po di Volano, come ha ricordato in aula Loretta Brancaleone, 69enne di Mesola con un’abitazione sul Po: "Un signore da un gommone mi disse: ’C’è un corpo!’. Ho chiamato i carabinieri, sembrava una cosa non vera". E invece era proprio il cadavere del ragazzo ancorato a una pesante grata. "Feci i rilievi fotografici", ha ricordato Di Munno aggiugendo che da subito apparve come "un sequestro anomalo: 7-8 chiamate" per il riscatto "in pochi giorni". Per l’ultima, del 30 aprile, "fu focalizzata la cabina davanti alla caserma stagionale di Lido delle Nazioni".
Scattò un servizio di appostamento: "Ci fu dato l’ordine di non arrestare ma di pedinare: lo trovai anomalo". Alla fine però il telefonista stranamente non si presentò: "La mia idea? - ha spiegato il testimone a domanda del pm Marilù Gattelli -. Se facevano i briefing dentro alla caserma di Alfonsine...". Ed è a questo punto che ha allineato tutti gli elementi poi confluiti nel rapporto giudiziario: "La mia idea investigativa scattò dopo la morte di Vetrano", il carabiniere ucciso quell’estate nel corso di un appostamento per una tentata estorsione a un altro imprenditore di Alfonsine (Contarini), fatto per il quale i tre imputati sono stati a suo tempo condannati.
"Da Ravenna venne un input: ’occhio ai nostri’. Ovvero si invitava a indagare dentro alla nostra famiglia". Scattarono accertamenti sui militari in servizio a Mesola: una pista che non portò da nessuna parte. Lo stesso vale - come ha ricordato pure l’allora capitano Achille Foggetti comandante della Compagnia di Comacchio, 73enne di origine barese oggi generale in pensione - per le verifiche su pregiudicati di origine siciliana come il telefonista del riscatto Minguzzi: "Sul nostro territorio avevamo un sorvegliato speciale ma accertamenti approfonditi e intercettazioni non portarono a nulla". Stessa cosa per un altro siciliano "che aveva una villa vicino alla cabina" da cui erano state fatte le chiamate. A un certo punto "un colonnello informalmente mi disse di un esposto anonimo nel quale si indicava che i due episodi", Minguzzi e Contarini, "erano riconducibili a carabinieri di Alfonsine" e che "durante l’indagine Contarini, qualcuno aveva riconosciuto la voce di Tasca".
Più di recente è stata una donna lughese ad aggiungere altri dettagli di valenza probatoria: nel 2018, dopo avere letto sul Carlino della riapertura del caso, si era presentava spontaneamente: non le erano sfuggiti numerosi passaggi di Tasca in zona da due mesi fino a 15 giorni prima del sequestro quando "percorreva quelle vie fino a 3-4 volte al giorno".
Andrea Colombari